Recensione Vandal (2013)

Il regista è bravo e delicato nel tratteggiare gli impercettibili, ma fondamentali cambiamenti d'umore di Chérif, sfruttando con efficacia l'energia vitale del protagonista.

French Graffiti

Vandal di Hélier Cisterne, presentato in concorso al 31. Torino Film Festival, è un'opera immediata che si snoda attorno alla ricerca dell'identità di un adolescente problematico; Chérif, figlio di genitori separati, madre francese e padre magrebino, viene allontanato da casa in seguito al furto di un'auto. L'assistente sociale, su suggerimento della madre del ragazzo, lo affida agli zii, facendolo trasferire a Strasburgo, dove vive il padre. Iscritto dallo zio ad una scuola professionale, Chérif fatica ad ambientarsi. Gli unici ad essergli davvero vicini sono Elodie, la compagna di classe di cui si innamora, e il cugino Thomas. Studioso, timido e con la testa a posto, sarà proprio lui ad introdurre Chérif in una banda di graffitari, che di notte imbratta (o adorna, dipende dai punti di vista), le mura della città. Il ragazzo vive sempre sul filo del rasoio, diviso tra gli obblighi di "fedeltà" alla gang a cui appartiene e l'amore per Elodie. Durante una delle incursioni notturne, però, il gruppo provoca incidentalmente il ferimento di un loro rivale, Vandal, insospettabile figlio di un consigliere comunale che entra in coma in seguito ad una scossa elettrica. Per Chérif è il brusco ritorno alla realtà, dopo aver vissuto nella speranza di potersi esprimere completamente attraverso quei (di)segni particolari e misteriosi.

E' il viaggio nel mondo del protagonista questo piccolo film, che rifiutando con forza ogni tipo di spettacolarizzazione, entra in punta di piedi nell'esistenza di un ragazzo considerato un cattivo, un pessimo esempio per il fratellino (che invece lo adora), destinato a pensare in piccolo; Chérif è invece un creativo, un adolescente che si ribella come può, con rabbia e disillusione, ad uno schema prefissato, uno che sa essere affettuoso con le persone che sente vicine (il fratello più piccolo e l'adorata Elodie). L'incontro con i graffitari, ovvero con dei coetanei che hanno portato ad un livello 'collettivo' il disagio singolare, è una svolta decisiva perché permette a Chérif di mettersi in gioco e di scoprire di voler ambire a qualcosa di diverso; nel rapporto con questo tipo di gruppo, con il clan che tutti omologa, in virtù di una comune appartenenza, da difendere ad ogni costo, con omertà (si chiamano Ork perché le orche assassine sembrano miti, ma sono in realtà predatrici spietate), spinge il ragazzo a essere finalmente sé stesso. Non più il figlio scapestrato, ma il giovane uomo che sa rifiutare certe dinamiche pericolose. Se i segni sui muri seguono schemi prefissati, lui sceglie di dipingere il corpo della ragazza che ama (Chloe Lecerf), una 'tela' che nessun muro bianco potrà mai eguagliare.

Cisterne, sceneggiatore del film assieme a Gilles Taurand e Katell Quillévéré (che a Torino ha portato il suo Suzanne) è bravo e delicato nel tratteggiare gli impercettibili, ma fondamentali cambiamenti d'umore di Chérif, sfruttando con efficacia l'energia vitale dell'interprete principale, Zinedine Benchenine, scrutato con primi piani ravvicinati. Nel suo volto corrucciato, pronto ad aprirsi al sorriso, c'è un'insoddisfazione che è esigenza di stare al mondo con una propria originalità. Originalità vuol dire fare (ed essere) qualcosa di diverso da tutti gli altri, rompendo ordini predeterminati e assumendosi delle responsabilità, forse per la prima volta nella vita. Di vandalico in questo c'è poco.

Movieplayer.it

3.0/5