Recensione Una separazione (2011)

Il nuovo film di Asghar Farhadi è un dramma psicologico avvincente come un thriller, che mette in luce anche temi importanti come le conseguenze di un male subdolo l'Alzheimer e i forti condizionamenti religiosi che caratterizzano i paesi islamici.

L'ombra del dubbio

Simin e Nader si ritrovano a discutere davanti ad un giudice la richiesta di divorzio presentata da lei, e motivata dal fatto che suo marito non ha intenzione di trasferirsi altrove come entrambi avevano pianificato. Adesso che sono riusciti a ottenere i visti per l'espatrio, la cui validità è limitata a soli quaranta giorni, Nader ci ha ripensato e non vuole più andare via: suo padre è malato di Alzheimer, e giustamente non vuole lasciarlo in Iran, abbandonandolo al suo destino. La richiesta di divorzio presentata da Simin tuttavia, viene archiviata perchè basata su "futili motivi", e perchè tra i due non ci sono accordi su chi dovrà occuparsi della loro bambina, Termeh, di undici anni. Simin decide comunque di separarsi dal marito e torna a vivere a casa dei genitori, mentre Nader continua a dedicarsi con impegno alla piccola Termeh, giocando con lei e aiutandola a fare i compiti, ma è costretto ad assumere una donna, Razieh, perchè si occupi di suo padre, che non è autosufficiente e potrebbe correre pericoli. Un giorno, al suo ritorno dal lavoro, Nader trova suo padre riverso sul pavimento, privo di sensi e con un polso legato ad un mobile.

Nader and Simin, a Separation - diretto da Asghar Farhadi, già autore dello splendido About Elly, Orso d'Argento al Festival di Berlino 2009 - prende così una piega inaspettata, e al dramma della separazione tra i due protagonisti, che inevitabilmente coinvolgerà anche la bambina, si sovrappone un avvincente intreccio da thriller che esplora temi importanti come il dramma dell'Alzheimer e i pesanti condizionamenti religiosi nei paesi islamici. A tutto questo, sorprendentemente, non manca un tocco di ironia, come nella scena in cui Razieh si vede costretta a telefonare ad un centro di consulenza religiosa per sapere se le è consentito cambiare i pantaloni all'anziano padre di Nader, che è incontinente e si è appena sporcato.
Non vogliamo svelare la trama di questo film straordinario, ma sono proprio i vincoli religiosi che, in parte, daranno sfogo al dramma del protagonista, e al tempo stesso saranno la sua salvezza. Ad accendere la tensione inoltre, sarà l'entrata in scena del marito di Razieh, un uomo fortemente disturbato, e di vari testimoni degli eventi al centro del film. Tra testimonianze, accuse gravi e omissioni, i protagonisti cercheranno di salvarsi, svelandosi a poco a poco allo spettatore, tra luci e ombre.

Non ci sono "buoni" o "cattivi" tra i personaggi del film di Farhadi, tutti splendidamente interpretati, ma solo esseri umani, che nel loro insieme mostrano alle platee occidentali un volto inedito dell'Iran, sicuramente problematico, ma distante dai soliti luoghi comuni. Tra le interpretazioni principali, non si dimenticano facilmente la dolcezza e la caparbietà di un padre come Nader, interpretato da Peyman Moaadi, così come lo sguardo intenso di Sareh Bayat incorniciato dal lungo chador nero, ma anche la piccola Sarina Farhadi, che presta il volto alla piccola Termeh, più matura della sua età eppure silenziosamente lacerata da una separazione imminente. Più marginale, ma ugualmente incisivo, a livello interpretativo, è il personaggio del padre di Nader, interpretato da Ali-Asghar Shahbazi: uno sguardo perso nel vuoto, eppure innocente, che suscita tenerezza con i suoi piccoli desideri, che talvolta affiorano dal buio della sua malattia.

Movieplayer.it

4.0/5