Recensione La moglie del poliziotto (2013)

Philip Gröning decide di far esplodere la struttura narrativa frammentandola all'infinito e cancellando ogni riferimento temporale interno al racconto.

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La violenza sulle donne, uno dei temi caldi tristemente presenti nelle notizie di cronaca tante, troppe volte, approda in concorso alla Mostra di Venezia. Responsabile di questa finestra sull'attualità è il regista tedesco Philip Gröning, già presente a Venezia nel 2004 con il documentario Il grande silenzio. In The Police Officer's Wife, Gröning si muove su un doppio binario. Da una parte il regista affronta il tema trattato - la disamina di una famiglia apparentemente serena dietro la quale si nasconde l'orrore domestico - con puntiglio documentaristico, dall'altra confeziona un'opera astratta e frammentaria che lascia lo spettatore con numerosi interrogativi irrisolti. L'indagine sul male del regista tedesco si sviluppa in maniera piuttosto convenzionale. Sposando la visione malickiana, Gröning mostra un padre padrone apparentemente impeccabile, un poliziotto modello dietro il cui sguardo limpido cova un malessere sordo che si rivela a poco a poco. La moglie, silenziosa e comprensiva, rappresenta il prototipo del senso materno e dello spirito di sacrificio, sa essere compagna di un uomo violento sopportando le botte ed evitando di alienargli l'affetto della figlia nonostante le continue umiliazioni.


La correlazione tra mestieri ad alto tasso di stress e violenza, come l'agente di polizia, e violenze domestiche a giudicare dalle statistiche è cosa nota, ma il percorso seguito dal protagonista di The Police Officer's Wife è da manuale, talmente prevedibile da risultare scontato. I suoi scoppi d'ira scaturiscono da liti, ripicche, tentativi della compagna di sottrarsi all'intimità, semplici gesti come una carezza. Il suo comportamento nei confronti della figlia, che lo adora e lo prende costantemente a modello, oscilla tra l'affettuoso e il distaccato. Quanto alla moglie, la cui presenza fisica è percepibile nella stragrande maggioranza delle scene, con il corpo bianco, nudo, proteso a rivelare i segni delle percosse, la sua unica colpa è quella di giustificare il marito senza ribellarsi, anzi, amandolo incondizionatamente nonostante i comportamenti odiosi.

Dal punto di vista tematico The Police Officer's Wife non aggiunge niente a quanto è stato già detto sul tema della violenza. Ciò che spiazza, nell'opera di Gröning, è lo stile. Il regista decide di far esplodere la struttura narrativa frammentandola all'infinito e cancellando ogni riferimento temporale interno al racconto. A scandire lo scorrere del tempo in una pellicola fiume che dura poco meno di tre ore vi sono cartelli neri che indicano inizio e fine di ogni capitolo. I capitoli sono cinquantanove, la loro durata oscilla tra una manciata di secondi e una decina di minuti, il loro ordine non è esplicitato chiaramente visto che al macroarco narrativo familiare si alternano brevi capitoli lirici dedicati a natura e animali e altri che mostrano un anziano solo in mezzo alla neve che fissa l'obiettivo. A causa della sua forma anticlassica, giudicare The Police Officer's Wife non è semplice. Nonostante la drammaticità della materia trattata, a lungo andare il peso dell'eccessiva lunghezza e la ripetitività delle situazioni si fanno sentire. Il film non è di facile fruizione sia per le violenze, tanto più agghiaccianti man mano che la storia avanza e le botte e i lividi sul corpo della moglie del poliziotto entrano a far parte della routine, che per le scelte stilistiche. Molti dei dubbi che l'opera solleva rimangono senza risposta per volere dell'autore che evita di esplicitare i numerosi sottotesti presenti lasciando che a parlare siano solo le immagini. Immagini liriche, domestiche, amorevoli, spiazzanti, atroci.

Movieplayer.it

3.0/5