Recensione The Missing Picture (2013)

Accompagnate da un testo lirico e sofferto, le ricostruzioni di Rithy Panh raccontano con emozione un drammatico momento storico del suo paese e della vita dell'autore.

Ricreare la storia

Il ruolo del documentario è quello di raccontare la realtà, lo dice il termine stesso che dà nome al genere. Documentare e se possibile approfondire, analizzare, indagare. E' un ruolo importante che rappresenta un mondo a sè nel complesso mondo della cinematografia mondiale.
Un ambito in cui si sono cimentati importanti filmaker abitualmente dediti alla finzione, ma che per alcuni rappresenta una missione di vita: autori che sviluppano la loro intera carriera sulla realizzazione di documentari, usando il loro personale sguardo per proporre ai loro spettatori la propria personale visione.
Tra le fila di questi ultimi possiamo annoverare il cambogiano Rithy Panh, che ha sviluppato la sua carriera in questa direzione, pur dimostrando con l'ultimo lavoro, presentato a Cannes 2013 nella sezione Un Certain Regard, quanto sia importante l'approccio usato per realizzare prodotti che siano anche artistici e creativi e non solo informativi o giornalistici.

Secondo la falsariga della sua produzione, anche The Missing Picture si concentra sul regime Khmer Rouge in Cambogia, dal quale la famiglia fu espulsa nel 1975.
L'immagine mancante del titolo è una scattata tra il 1975 ed il 1979 proprio dai Khmer Rouge mentre governavano il paese, un documento che Panh dichiara di non aver mai realmente inseguito e che potrebbe anche non esistere, tanto da decidere di ricrearlo da solo, ricostruendo immagini e situazioni grazie all'uso di piccole sculture di fango per rappresentare gli uomini ed i drammi di quel difficile periodo storico: una serie di complessi diorama che raccontano i diversi momenti di quel periodo, ricostruzioni minuziose seppur abbozzate in uno stile contraddistinto da linee scolpite con durezza che contribuisce a comunicare la sofferenza dei volti.
La cura dei dettagli è notevole ed il regista la indaga con lenti movimenti della sua cinepresa, che scivola su queste ricostruzioni con adeguati accompagnamenti musicali.

Ma non c'è solo musica a far da sfondo a queste suggestive immagini, alternate o sovrapposte a brevi filmati di repertorio, estratti dell'epoca che completano la narrazione: la voce misurata di Randal Douc racconta quei momenti in testi che comunicano profonda emozione.
Liriche e sofferte, intense e toccanti, le parole scritte da Christophe Bataille si sposano alle immagini e donano loro vita. In questa fusione, quel che è mera ricostruzione statica acquista corpo e sembra animarsi come e più di un film in stop motion.
E' la forza del cinema, la sua stessa natura che l'autore sfrutta e fa sua, quella capacità unica di ricreare e raccontare per immagini che è propria della settima arte, grazie alla quale Panh può riprodurre da sè non solo quel materiale mancante, ma il senso stesso della sua ricerca.

Movieplayer.it

3.0/5