Recensione The Look Of Love (2013)

Nel suo biopic su Paul Raymond, Michael Winterbottom ripercorre la carriera del più grande intrattenitore inglese, soffermandosi sul suo rapporto con le donne e, in particolare, sull'unica che abbia mai davvero amato: la figlia Debbie.

Trent'anni di (quasi) amore

Cosa fa di un uomo un vincente? Molti direbbero i soldi, o la fama. I più illuminati, magari, direbbero che è la possibilità di esprimere se stessi, di realizzare i propri obiettivi. Paul Raymond aveva tutto questo: i soldi, la fama, un impero finanziario ed imprenditoriale tutto suo, tanto che si potesse dire di lui che fosse il re dell´intero quartiere di Soho. Eppure, definirlo un vincente suona strano, dopo aver visto The Look of Love di Michael Winterbottom.

Il regista inglese segue la carriera del suo protagonista quasi dalle origini, in cui un ruspante intrattenitore sgomitava per larsi largo sui palcoscenici londinesi, con uno spettacolo che prevedeva la moglie, quasi completamente nuda, alle prese con numeri circensi in compagnia di un leone. La formula sembrò funzionare, anche se il segreto del successo di Raymond é forse proprio quello che ci confessa lui stesso in una delle prime scene della pellicola: "a un certo punto, ho capito che agli uomini piacciono le donne, che le donne piacciono ancora di più se sono nude, e, soprattutto, so leggere nella mente". Ma, forse, solo in quella degli uomini, perché dopo l´ennesimo tradimento nella pur apertissima relazione con la moglie, Raymond viene lasciato, seppur con la prospettiva di rifarsi una nuova vita, sempre alla grande, sempre più estrema, con la star del suo show. Parliamo di quella Fiona Richmond che decreterà anche la fortuna del periodico per adulti Man Only, ma che, stanca, come colei che l´aveva preceduta, della vacuità di una vita come la intende Paul, finirà per prendere una strada diversa. L'unico amore a rimanere costante nell'intera esistenza del protagonista è quello per la figlia Debbie, per la quale allestisce anche lo spettacolo teatrale più fastoso che si possa immaginare, salvo cancellarlo dopo una manciata di date, in conseguenza di incassi inferiori alle aspettative.

Quella tra Debbie e Paul è il vero fulcro della seconda metà della pellicola, quando Winterbottom mette, finalmente, in campo il lato più profondo del suo protagonista, che, fino alla ricomparsa della figlia (prima parcheggiata in un collegio da cui si farà espellere per consumo di marijuana), sembrava immune a qualsiasi legame affettivo. E se questo sembra credibile, e funziona, nella prima parte del film, che ci presenta un Paul che si gode il successo, il libertinaggio, la leggerezza di una vita consumata tra gli eccessi, con il passare dei minuti si avverte l´esigenza di andare oltre l´apparenza, di scoprire la persona dietro al personaggio, l'uomo dietro all'intrattenitore. Il limite principale del film di Winterbottom è proprio quello di non emancipare mai del tutto il suo protagonista dall'immagine che il mondo già aveva di lui: un assaggio della sua umanità lo si avverte unicamente negli ultimi scampoli della vita di Debbie, ma, nonostante l'ottima interpretazione di Steve Coogan, Raymond rimane un personaggio eccessivamente statico, privo di quelle sfaccettature in grado di rendere davvero interessante un biopic. D'altro canto, un'ottima gestione del ritmo sopperisce quasi del tutto alle carenze della sceneggiatura: il viaggio attraverso i trenta e più anni di carriera è reso appassionante non solo da una ricostruzione vibrante delle atmosfere prima degli anni Sessanta, poi della definitiva consacrazione dei Settanta e della deriva orgiastica degli Ottanta, ma anche da sequenze di transizione di particolare impatto visivo.

Non si può dire che il film di Winterbottom, così come il suo protagonista, non intrattenga: eppure, proprio come il suo protagonista, sembra mancare di una certa sostanza. Ed è un peccato, perché le interpretazioni dell'intero cast, a partire dallo stesso Coogan, cui non sono seconde Imogen Poots nel ruolo di Debbie e Tamsin Egerton in quello di Fiona, avrebbero meritato una sceneggiatura in grado di metterle maggiormente alla prova.

Movieplayer.it

3.0/5