Recensione Sotto gli occhi di tutti (2012)

Un giovane hacker sa chi c'è dietro l'attentato che hanno attribuito a un gruppo di estremisti islamici, e vuole che giustizia sia fatta: il vincitore del Napoli Film Festival ci parla del ruolo dell'immagine e della percezione della sicurezza nella società contemporanea.

Un 'grande fratello' di nobili ideali

Quella di dubitare è spesso una scelta un po' malvista: tradisce una certa sfiducia nel prossimo, ed è difficile togliersi dalla mente l'idea che chi diffida è forse il primo ad avere qualcosa da nascondere. Ma, a volte, il dubbio si rivela essere l'atteggiamento più saggio, specie per chi è restio a farsi imboccare verità un po' troppo facili da credere, un po' troppo comode per qualcuno. Come quelle secondo cui il nemico è sempre il brutto, lo straniero, quello che non è come noi: perché noi siamo i buoni, e non ammettiamo che tra di noi ci siano mele marce.

Eppure, qualcuno interessato alla realtà dei fatti ancora c'è, come il giovane hacker protagonista della pellicola di Cédric Jimenez, che sa bene che dietro l'attentato alla stazione che ha sconvolto la Francia non c'è il gruppo di terroristi che tutti sospettano. Lo sa perché è in possesso delle immagini delle videocamere di sorveglianza, e quel signore distinto, quel ragazzo qualunque, quella poliziotta circospetta non sembrano affatto appartenere a un gruppo di estremisti islamici. Investigando dalla sua stanza, ma forte di tutti gli occhi virtuali di Parigi, a cui riesce ad accedere bypassando i loro sistemi di sicurezza con sconvolgente facilità, scoprirà che la giovane coppia coinvolta nella strage non sapeva nemmeno a cosa stesse collaborando, e che dietro la morte di tanti innocenti si nascondono interessi che non hanno niente a che fare con una guerra santa o con un non meglio identificato odio verso l'Occidente. Spesso il cattivo è nato e cresciuto in casa nostra, e magari ha il volto di chi ha giurato di fare i nostri interessi, persino di proteggerci.

Il film di Jimenez, vincitore del concorso Europa, Mediterraneo dell'edizione 2012 del Napoli Film Festival, si pone come primo obiettivo quello di farci riflettere sulla complessità e sulla contradditorietà del concetto di informazione nella società contemporanea. Con i mezzi di comunicazione di cui disponiamo, la tecnologia, il progresso scientifico, ci sembra impossibile che qualcosa ci sia negato: all'occhio del grande fratello non si può sfuggire. Tutti sanno cosa compri, cosa mangi, che film guardi. Siamo continuamente spiati. Tanto più l'immagine si fa prepotente, e la sua dittatura arriva a essere un dato di fatto nelle nostre vite, tanto più siamo portati a crederle: ed è per questo che l'idea che siano degli islamici senza volto, perché tanto più o meno sono tutti uguali, a minacciare la democrazia ci risulta così facile da accettare. I giornali, la televisione ci hanno abituati così, e, se cominciano a sorgere i dubbi, ecco che si grida alla cospirazione, o, quando proprio mancano gli argomenti, arriva qualche programma spazzatura a inebetirci. Jimenez parla della resistenza a questo sistema di pensiero, una resistenza che non è esente da rischi: e non si tratta soltanto dell'amarezza nel riconoscere il marcio dentro di noi, ma anche di conseguenze più tangibili, e personali, di cui i novelli prometei devono farsi carico. Con una regia tesa e nervosa, e una prospettiva che raramente si allontana da quella distorta dal grandangolo delle telecamere di sicurezza, il giovane autore ci svela tutto il paradosso dell'essere continuamente fraintesi pur essendo, nel contempo, costantemente visibili e, quindi, controllabili. Forse perché vedere non significa capire, forse perché senza un'intelligenza a decodificarla, qualsiasi informazione diventa inutile.

E forse quello che il regista francese vuole suggerirci è che non bisogna mai smettere di farsi delle domande, e che non è per forza necessario essere un hacker, e avere delle competenze speciali, per fare la propria parte nella ricerca della verità. Che la curiosità, la stessa che anima il suo anonimo protagonista, è l'unico atteggiamento possibile nei confronti di chi ci è sconosciuto, anche se, come lui, siamo animati dal pregiudizio: come lui, potremmo scoprire che persino chi odiamo è in realtà una vittima, e ha forse più bisogno di noi di essere salvato.

Movieplayer.it

3.0/5