Recensione Sarebbe stato facile (2013)

Per il suo esordio alla regia, Graziano Salvadori sceglie di puntare il dito sulle discriminazioni sessuali all'interno della realtà di provincia; ma il tutto si rivela eccessivamente confuso, con una sceneggiatura episodica e indecisa sul tono da adottare.

Matrimoni di (poca) convenienza

Due coppie gay nella provincia toscana. Da una parte Luigi e Marco, colleghi innamorati da anni, uno dal carattere istintivo e deciso, l'altro più sensibile e cauto; dall'altra, Antonella e Mara, imprenditrice la prima, dipendente la seconda, una consistente differenza di età che non ha impedito lo scatenarsi di una forte quanto inaspettata passione. Tutti e quattro, nel contesto retrogrado e perbenista della cittadina in cui vivono, sono costretti a nascondere i loro sentimenti e le loro inclinazioni: agli occhi degli altri, infatti, formano due normali coppie eterosessuali. La loro vita, pur costretta sui binari della menzogna e della simulazione, può proseguire con una relativa tranquillità... fino a quando in entrambe le coppie non si sviluppa, impetuoso quanto impossibile da ignorare, il bisogno della genitorialità. Come poter pensare di adottare (e crescere) dei bambini, quando i quattro sono costretti persino a mentire sul loro status personale? Ovviamente, portando la bugia ancora più in là: fino al matrimonio, "biglietto da visita" che offre una corsia preferenziale per un'eventuale adozione.


Non dovrebbe stupire che, nel 2013, si continuino a raccontare storie gay/lesbo in termini di discriminazione. Se è vero, infatti, che il cinema (seguendo i mutamenti del costume, almeno di quello mainstream) ha da tempo sdoganato questi argomenti, trattandoli alla stregua di normali tematiche sentimentali, è pur vero che sacche di discriminazione, specie nel nostro paese, sono ancora presenti e consistenti: annidate, in particolare, in quella provincia che da sempre si mostra più refrattaria alle modifiche del costume e della mentalità. L'idea di base di Sarebbe stato facile, esordio alla regia del comico toscano Graziano Salvadori, non deve quindi apparire obsoleta o fuori tempo massimo; nonostante il film sia stato concepito qualche anno fa, non si fa fatica a pensare che situazioni come quella descritta siano tuttora, se non proprio verosimili, quantomeno credibili. Il problema del film di Salvadori, lo diciamo col massimo dell'onestà e della chiarezza, sta semmai nella pochezza della sua fattura; pochezza registica quanto narrativa, che finisce per annullare tutte le buone intenzioni e consegnare allo spettatore un pasticcio confuso e privo di mordente.

Abituato ai toni puramente comici, esplicitati tanto sul piccolo schermo quanto al cinema, Salvadori tenta qui di mescolare i registri della commedia con quelli di un "melò" (virgolette d'obbligo) sui generis; l'intento è chiaramente quello di raccontare una sofferta, doppia love story, offrendo anche uno spaccato (caricaturale) della vita di provincia e delle sue idiosincrasie. Fin dalle prime scene, tuttavia, è evidente come il regista sia indeciso sul tono da utilizzare, e come l'insieme sia male amalgamato: sul tessuto narrativo principale, incentrato sulle difficoltà e i progetti dei quattro protagonisti, si innestano, quasi a caso, gag surreali e fuori contesto, che finiscono sovente per provocare una sensazione (non positiva) di straniamento. Raccontato in flashback (l'inizio e la fine sono proiettati in un ipotetico 2040) il film soffre di una sceneggiatura episodica e confusa, che non gestisce al meglio i salti temporali, e rende poco pregnante anche la linea narrativa principale; alternata, da par suo, con una love story etero dalla funzionalità narrativa praticamente nulla, a cui danno vita Alessandro Paci e Cristina De Pin.

Gli stessi quattro protagonisti (allo stesso regista, e al suo partner abituale Niki Giustini, si somma la coppia costituita da Katia Beni e Beatrice Maestrini) non sembrano molto a proprio agio coi rispettivi personaggi, mentre gli stereotipi gay che lo stesso Salvadori ha dichiarato di voler rifuggire finiscono comunque per far capolino, qua e là, nella trama. Al di là della generale, già citata incertezza sul tono della narrazione, quello che colpisce di più è il carattere sfilacciato ed episodico della vicenda, il suo allungarsi e dilatarsi oltre i limiti del lecito (100 minuti sono decisamente troppi per una storia che poteva essere raccontata, meglio, nella metà del tempo) con una serie di eventi (fin troppo) accessori e inutili. Anche le gag dal potenziale comico migliore finiscono per essere annullate e rese inefficaci, decontestualizzate come sono in un tessuto narrativo che cerca, con scarso successo, di apparire serio. E inoltre, certe trascuratezze di messa in scena risultano davvero troppo evidenti per essere taciute: non è possibile raccontare, in flashback, l'incontro della coppia femminile (avvenuto, si presume, molti anni prima) senza neanche darsi pena di truccare un minimo le due attrici. Particolari come questi (lungi dal decretare, da soli, la non riuscita del film) possono dare un'ulteriore idea della modesta fattura dell'operazione.

Movieplayer.it

2.0/5