Recensione Sagràscia (2010)

Tra la rinascita della così detta commedia e il sempre attuale dramma esistenziale con riferimenti ad una cronaca elevata a Storia, il percorso compiuto da Bonifacio Angius e dal suo Sagràscia rappresenta un atto di coraggio mosso dal più ardito spirito intellettuale unito ad una incoscienza artistica finalmente costruttiva.

Sogno di un giorno di mezza estate

La strada verso la santità è lunga e ricca di deviazioni impreviste. Lo sa bene il piccolo Antonio che, sopravvissuto ad una caduta dalle scale, si prepara ad affrontare un pellegrinaggio alla chiesa del santo protettore per rendergli onore della presunta grazia ricevuta. Vestito di un saio e accompagnato dal cugino Giovanni, costantemente immerso nelle sue visioni campestri, l'inconsapevole miracolato attraversa le strade polverose di una Sardegna rurale per incrociare il suo cammino con i misteriosi abitanti di un universo immerso in una atmosfera inaspettatamente onirica. Così, dopo essere stato abbandonato in piena notte dal suo accompagnatore silenzioso, Antonio trova rifugio nel mondo visionario di Angela, creatura irreale plasmata dalla durezza della terra e dalla follia dei sogni, nascosto tra le spighe osserva i giochi di guerra di un gruppo di giovani guerrieri indiani e si lascia trasportare dalle sonorità nostalgicamente gitane di un gruppo di innocui vagabondi. Tutte immagini e profili sconosciuti che, dopo una breve apparizione, si dissolvono nella luce accecante di un mattino d'estate lasciando il ragazzo in compagnia della persistente incertezza che accomuna il cammino e la fine di ogni essere umano.


All'interno dell'attuale panorama del cinema italiano è inusuale trovarsi faccia a faccia con un progetto che, oltre a rifiutare qualsiasi logica economica, persegue lo scopo di una narrazione sensoriale più che verbale. Così, tra la rinascita della così detta commedia e il sempre attuale dramma esistenziale con riferimenti ad una cronaca ormai elevata a Storia, il percorso compiuto da Bonifacio Angius e dal suo Sagràscia rappresenta un atto di coraggio mosso dal più ardito spirito intellettuale unito ad un' incoscienza artistica finalmente costruttiva. Partito da una collocazione regionale ben definita, il regista sassarese definisce un racconto che, pur mostrando i germi di una contaminazione culturale riconoscibile, non somiglia specificatamente a nulla se non al cinema stesso, nel senso più ampio del termine.

Ispirato al polveroso surrealismo di Pier Paolo Pasolini e alle oniriche avventure di Federico Fellini, il film si avvia lungo strade tortuose, taglia per campi deserti e si perde nel cuore di una terra in cui tutto appare indefinito e irreale, in cui il sogno si sovrappone alla realtà senza provocare alcuna frattura spazio temporale ma offre alla materia cinematografica un palcoscenico naturale su cui mettere in scena il suo mistero buffo. Liberi dalla griglia rassicurante e spesso costrittiva dei tre atti tipici della sceneggiatura all'americana, Angius e lo sceneggiatore Stefano Deffenu si dedicano ad una narrazione in costante divenire che, priva di certezze prestabilite e di punti fermi, nell'inconsapevolezza dell'uomo rintraccia il senso più profondo del suo esistere.
Da qui la creazione di protagonisti tanto sfuggenti nella forma quanto tangibili nella loro sostanza. Fatti della stessa materia dei sogni, queste figure composte di corpo e pensiero attraversano il paesaggio senza lasciare impronte visibili, ma costringendo ad una riflessione personale spesso sconcertante. Fantasmi, prodotti della fantasia o spiriti protettori, tutti si dimenano in un lungo e costante percorso per il raggiungimento di una meta non sempre certa o definita. Perché, a dispetto di quanto affermato fino ad ora dalla struttura logica e pragmatica di un certo tipo di cinema, il significato del nostro cammino non risiede certo nel rintracciare la strada maestra, ma nelle esperienze acquisite e negli incontri intrecciati durante il cammino.
Visto da questa angolazione il pellegrinaggio di Antonio rappresenta una sorta di metafora esistenziale in cui, attraverso un viaggio iniziatico, si viene a contatto con la natura multiforme del mondo e con la pesantezza di enigmi per loro stessa natura irrisolvibili. Così, nella placida serenità di una terra che alterna con costanza secolare le piogge al sereno, l'uomo sembra essere l'unica creatura priva di riferimenti ancestrali, costantemente sopraffatta dalle richieste di una corporeità che lo chiama a confrontarsi in solitudine con il tema più inafferrabile e onirico: il divino.

Movieplayer.it

4.0/5