Recensione S.B. Io lo conoscevo bene (2012)

Per la prima volta, dopo che la stampa ha sprecato fiumi d'inchiostro per mettere in evidenza i limiti di Silvio Berlusconi come politico ed uomo, due giornalisti cambiano il punto di vista e si rivolgono direttamente ad una nazione intera chiamandola alla responsabile compartecipazione.

L'epica del Cavaliere e del suo paese

Negli ultimi vent'anni in cui ha concentrato tutta la sua attività pubblica e politica, Silvio Berlusconi è stato oggetto di satire, studi critici, dissensi, consensi e perfino di brani musicali popolari. Ma il mezzo che più di ogni altri lo ha raccontato è stato, senza alcun dubbio, quello cinematografico. Con precisione, nonostante la minaccia per ora vana di realizzare un film hollywoodiano sulla sua vita, il Cavaliere è stato più che altro al centro di documentari che, sottoforma d'inchiesta hanno cercato di ricostruire i passi del politico e le sue avventure/disavventure giudiziarie. A firmare questi lavori sono sempre giornalisti che, come Enrico Deaglio e Beppe Cremagnani in Uccidete la democrazia, si sono impegnati a svelare il"mistero" dei brogli elettorali del 2006 o, come Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, hanno messo la loro conoscenza a disposizione di Roberto Faenza per raccontare la nascita e la crescita del fenomeno in Silvio Forever. Visto tutto questo, dunque, è naturale chiedersi se ha veramente senso realizzare un altro prodotto simile con S.B. Io lo conoscevo bene e se, dopo tanta attenzione mediatica sia rimasto ancora qualche cosa da scoprire. La risposta di Giacomo Durzi e Giovanni Fasanella è assolutamente positiva perché, andando oltre gli scandali sessuali, i festini di Arcore, i grossolani errori politici e la pessima gestione della crisi economica, nella straordinaria ascesa del Cavaliere si nasconde un quesito che non può più essere negato. Perché tutto questo è stato possibile proprio nel nostro paese?


Dunque, per la prima volta, dopo che la stampa ha sprecato fiumi d'inchiostro per mettere in evidenza i limiti del politico e dell'uomo, due giornalisti cambiano il punto di vista e si rivolgono direttamente ad una nazione intera chiamandola alla responsabile compartecipazione. Perché, dato per scontato la non casualità di alcuni fenomeni sociali, si deve affrontare una volta per tutte la realtà che Berlusconi non è l'incarnazione suprema e ultraterrena del male ma il prodotto di un popolo incapace o disinteressato ad arrestarlo. Ed è proprio per andare ad indagare nella cultura e nella sottocultura degli italiani che Durzi e Fasanella scelgono di strutturare il loro racconto attraverso interviste a chi, credendo nel valore o nella convenienza della "discesa in campo", durante questi venti anni hanno compreso i limiti del progetto e, soprattutto, del suo leader. Così, direttamente dalla voce di testimoni più o meno discutibili come Alessandro Meluzzi, Tiziana Parenti, Luigi Manfredi, Francesco Gironda, Paolo Pillitteri, Giuliano Ferrara e molti altri si ottiene il ritratto antropologico privo di alcuna amarezza dell'uomo Berlusconi, della maschera politica e dell'opinione pubblica che lo ha inneggiato, forse, con troppo fervore ed ostacolato sempre con poca convinzione. Dunque, partendo da un interrogativo indubbiamente scomodo, i registi arrivano ad una conclusione infelice ma realista: Silvio Berlusconi appartiene agli italiani più di quanto il nostro paese sarà mai disposto ad ammettere.

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4.0/5