Recensione Real Steel (2011)

Tratto in parte da un racconto di Richard Matheson, il film di Shawn Levy sa miscelare bene i suoi elementi più propriamente spettacolari, gli immancabili combattimenti tra robot di ogni forma e dimensione, con gli inevitabili buoni sentimenti che il rapporto padre/figlio mette in campo,

Pugni di ferro

Come in gastronomia, anche nel cinema ci sono piatti di ogni tipo, per soddisfare tutti i palati e tutte le più disparate esigenze: c'è il momento per i sapori più ricercati, quello per uno spuntino veloce e leggero, ma anche quello per un sano hamburger con patatine fritte, senza preoccuparsi troppo del salutismo alimentare. Nessuna ricetta è intrinsecamente migliore di altre e c'è sempre il momento adatto per poter gustare ogni genere di cibo, ma ognuna può essere realizzata con le proporzioni corrette e gli ingredienti migliori affinchè, nella sua dimensione, possa essere equilibrata, gustosa e di qualità.
E' un po' così anche il cinema. Sebbene tutti possiamo essere d'accordo sulla oggettiva superiorità artistica di un film cosidetto d'autore rispetto ad un altro con evidenti intenzioni commerciali ed un'anima da blockbuster, non possiamo ignorare quella voglia di qualcosa di leggero, disimpegnato e spensierato che un po' tutti abbiamo provato almeno una volta, e non possiamo negare che anche tra i film meno impegnativi si può trovare quello che funziona meglio, la ricetta ben amalgamata, in grado di concederci un paio d'ore di svago fine a sè stesso.


E' il caso di Real Steel, coinvolgente mix della saga di Rocky (con particolare riferimento al primo ed al quarto film) e Transformers, con la giusta spruzzata di Over the Top. Il film racconta la storia di Charlie Kenton, ex pugile superato come lo sport stesso che praticava, sostituito dalla più moderna e cruenta boxe tra robot, che permette allo spettatore di assistere a quel grado di distruzione che la versione umana non poteva, per ovvi motivi etici, assicurare. I robot sono i nuovi gladiatori, guidati da bordo ring da controparti umane dotate di elaborati console di comando o, negli esemplari più moderni, comandi vocali. Charlie Kenton è uno di questi moderni lottatori, ma anche tra questi è ormai una vecchia gloria, con un robot antiquato ed ormai poco competitivo, e gira il paese a bordo del suo camion da un torneo di provincia all'altro.
A complicare la sua vita, oltre agli inevitabili infortuni al suo robot/boxer, il figlio Max, al quale decide di badare per tutta l'estate prima di concedere l'affidamento alla zia ed al suo benestante marito. Quello con il figlio è un rapporto inesistente, da costruire dal nulla passo per passo, così come l'attività di Charlie nel mondo della boxe che proprio grazie al ragazzo, e ad un vecchio esemplare di robot recuperato in una discarica, trova una nuova dimensione.

Tratto in parte da un racconto di Richard Matheson, Real Steel sa miscelare bene i suoi elementi più propriamente spettacolari, gli immancabili combattimenti tra robot di ogni forma e dimensione, con gli inevitabili buoni sentimenti che il rapporto padre/figlio tra Charlie e Max mettono in campo: in particolare il regista Shawn Levy sembra fermarsi sempre un attimo prima di eccedere troppo, sia nelle sequenze d'azione che vedono i robot impegnati sul ring, sapendo coinvolgere senza mai annoiare, sia in quelle più buoniste che evitano di scivolare in situazioni stucchevoli.
Se sono le sequenze sul ring a fornire lo scheletro del racconto, dettando il passo della storia ed il suo sviluppo, è il rapporto tra Charlie e Max a definirne il tono, a darle colore ed emozioni, ed è per questo motivo che acquista ulteriore valore l'interpretazione dei due protagonisti. Il cast, infatti, dà sicuramente una grossa mano a Levy nella sua impresa, a partire da un Hugh Jackman che incarna il fulcro del racconto ed il giovanissimo Dakota Goyo che sa tenergli testa con sicurezza nella parte del figlio Max.
Seppur con poco spazio a disposizione, non sfigurano anche gli interpreti dei ruoli secondari, da Hope Davis e James Rebhorn nei panni dei genitori adottivi del bambino, alla Evangeline Lilly di Lost nei panni di Bailey, ex fiamma del protagonista.

Riuscito tutto il comparto tecnico, a cominciare dagli effetti speciali: non avranno l'imponenza di quelli della saga dei Transformers, ma risultano perfettamente integrati nella scena dandole un tocco di realismo che aiuta ad enfatizzare l'apparato emotivo del film di Levy.
E' chiaro che ci si trovi al cospetto di un popcorn movie, ma come l'incipit di questo articolo lascerà intuire, gli ingredienti sono al posto giusto per convincere e divertire. E quando un film di puro intrattenimento come questo riesce a far passare due ore piacevoli e spensierate allo spettatore, l'operazione può dirsi sicuramente riuscita.

Movieplayer.it

3.0/5