Recensione Quando c'era Berlinguer (2014)

Veltroni ha composto non una elegia né una commemorazione, ma un album di ricordi che, a metà strada tra la ricostruzione storica e quella affettiva, appartiene ad una parte numerosa di Italiani disillusi.

Qualcuno era comunista

"Qualcuno era comunista perché il cinema lo esigeva, il teatro lo esigeva, la pittura lo esigeva, la letteratura anche: lo esigevano tutti. Qualcuno era comunista perché glielo avevano detto. Qualcuno era comunista perché non gli avevano detto tutto. Qualcuno era comunista perché prima (prima, prima...) era fascista. Qualcuno era comunista perché aveva capito che la Russia andava piano, ma lontano... Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona." Così Giorgio Gaber recitava nel suo teatro canzone descrivendo un'Italia piccola, affannata che, pur non fingendo di esser sana, poteva ancora farsi vanto dell'amore e della riconoscibilità in un politico insolito come Enrico Berlinguer. E di quel paese, che oggi ha assunto un aspetto quasi nostalgico visto l'ultimo ventennio vissuto, Walter Veltroni ha fatto parte vestendone e abbracciando difetti e ingenuità, ma soprattutto il rimpianto per la perdita di un uomo perbene come il Segretario dell'ormai scomparso Partito Comunista. Così, a trent'anni dalla morte di Berlinguer, avvenuta l'11 luglio 1982 a Padova, l'ex Sindaco di Roma trasforma quei suoi ricordi da ragazzo affascinato da un uomo piccolo piccolo capace di guidare il paese verso dei no fondamentali, prima nel libro Quando c'era Berlinguer e poi in un documentario omonimo. In questo modo non solo utilizza finalmente il linguaggio cinematografico per cui ha avuto sempre una passione, ma cerca di consegnare alle generazioni più giovani l'immagine di una politica morale, quasi poetica, il cui scopo era quello di progredire costruendo e non certo distruggendo.


Chi era Enrico Berlinguer?
Con questa domanda Veltroni inizia la sua narrazione e mostra allo spettatore quanta necessario sia non dimenticarsi mai di nutrire la memoria. Perché negli occhi e nella generazione dei più giovani, fatta eccezione per alcuni personalmente interessati all'attività politica, il sorriso timido, quasi infantile, con cui Berlinguer affrontava il confronto dialettico non ha alcun significato. Come non ne ha la vittoria nel Referendum sul divorzio o quel senso del dovere che lo portò ad accettare un governo completamente in linea con la Democrazia Cristiana pur di salvare il paese da una guerra civile. Il fatto è che Berlinguer, portando il Partito Comunista a risultati mai ottenuti prima e trasformandolo in altro rispetto alla realtà russa, non ha mai smesso di rispondere per un solo momento al senso di responsabilità e alla necessità di legittimazione democratica. Elementi non da poco conosciuti perfettamente da quelle generazioni che si unirono per salutarlo con dolore famigliare durante i funerali di massa tenutesi a San Giovanni. E anche per loro, e riconoscendosi in questi, Veltroni ha composto non una elegia né una commemorazione, ma un album di ricordi che, a metà strada tra la ricostruzione storica e quella affettiva, appartiene ad una parte numerosa di Italiani disillusi per cui quel giorno, tornando a citare Gaber, il sogno si era rattrappito.

Il linguaggio emotivo del documentario

Spesso si è portati a credere che per far nascere o veicolare un'emozione attraverso delle immagini si abbia comunque bisogno di una narrazione di stampo letterario. Come se, alla fine, la realtà non riuscisse mai ad essere poetica tanto quanto la costruzione della finzione. Ci sono dei casi, però, come questo documentario in cui ogni regola della cronaca viene quasi stravolta, non potendo far altro che cedere il passo all'emozione. Il merito va alla voglia da parte del regista/scrittore di mettere in gioco dei ricordi personali, alla sua furbizia di orchestratore capace d'inserire l'enfasi al momento giusto, alle testimonianze di chi c'era a vedere tutto con i propri occhi ma, soprattutto, al protagonista assoluto di questa storia. Perché dopo l'interrogativo iniziale sulla sua identità, l'autore lascia che a rispondere sia il diretto interessato attraverso quell'etica d'altri tempi, l'ormai desueta morale della politica, la gioia trattenuta delle vittorie, lo sconforto dignitoso delle sconfitte fino all'ultimo affaticato comizio tenutosi a Padova. Così, accanto ad un uso moderato delle interviste alla figlia Bianca Berlinguer, al Presidente Giorgio Napolitano, Pietro Ingrao, Eugenio Scalfari e il capo della scorta Alberto Menichelli, un largo spazio viene concesso alle immagini di repertorio che nella loro "nudità" sembrano aver immortalato e custodito per oltre trent'anni l'essenza di un uomo perbene. E visto quello che è successo dopo di lui, non è certo poco.

Movieplayer.it

4.0/5