Recensione Prisoners (2013)

Nonostante una costruzione narrativa articolata, Prisoners non si fa portatore dell'inossidabile e sempre valida suspense collezionando, al suo posto, immagini e situazioni un po' troppo familiari al genere e ai suoi estimatori.

Il peso della fede

Secondo Schopenhauer la conoscenza è fatta di una materia tanto solida da spaccare la fede, quando queste si urtano. Ma cosa accade nel caso in cui il più fervido attaccamento religioso si scontra con una realtà tanto cruda da mettere alla prova qualsiasi dogma o appartenenza? Gli effetti spesso devastanti della collisione mettono a nudo l'animo umano, mostrando in alcuni casi comprensione e rassegnazione ma, più frequentemente, crudeltà e istinti primari in qualche modo giustificati dalla scelta di appartenere ad un credo. Questa è la situazione sperimentata da Keller Dover, carpentiere e pater familias vecchio stampo, capace di pregare con fervore prima di sparare ad un cervo e di impartire a suo figlio insegnamenti indiscutibili. Abituato a pregare per il meglio e ad essere pronto per il peggio, Keller, simbolo di una mascolinità vecchio stampo atta a proteggere e sostenere la propria famiglia, può prevedere l'arrivo e gli effetti di varie calamità naturali ma si fa trovare del tutto impreparato di fronte all'unico devastante imprevisto che non aveva considerato. Così, quando sua figlia Anna e l'amica Jay spariscono misteriosamente durante il giorno del Ringraziamento, dà inizio ad una personale caccia all'uomo mettendo in gioco qualsiasi mezzo plausibile ai suoi occhi. In quel momento, sconfitto nella funzione di padre e protettore, la sua visione morale subisce una dilatazione che nulla esclude, nemmeno la tortura, sempre e comunque sostenuta da una fede giustificante.


A lui si oppone silenziosamente il detective Loki che, abituato ad una infallibilità sul campo delle indagini, con frustrazione deve confrontarsi con una verità intenzionata a sfuggirgli ripetutamente. Entrambi si osservano come due avversari, seguendo il proprio percorso e spesso ostacolando quello dell'altro. Tutti e due, però, arriveranno alle stesse conclusioni, faccia a faccia con la follia di una umanità abbandonata dalla fede. Così, con un thriller dall'evidente tematica religiosa, il canadese Denis Villeneuve, particolarmente amato dal pubblico americano dopo il successo di La donna che canta, torna dietro la macchina da presa per raccontare una vicenda della provincia americana, mettendo insieme attori di richiamo come Hugh Jackman e Jake Gyllenhaal con uno stile da cinema indipendente. Il risultato è un prodotto che, pur riuscendo a produrre un insieme armonioso e esteticamente appagante, non dà vita a quell'alchimia capace di produrre coinvolgimento emotivo. Nonostante una costruzione narrativa articolata, Prisoners non si fa portatore dell'inossidabile e sempre valida suspense collezionando, al suo posto, immagini e situazioni troppo familiari al genere e ai suoi estimatori. Nemmeno le interpretazioni di Jackman e Gyllenhaal, giustamente discutibile il primo e più comprensibile il secondo, riescono a limitare gli effetti di una narrazione troppo a lungo appesantita da una retorica verbale e visiva.

In questo modo, tra frequenti simbolismi religiosi, si rintraccia con un po' di fatica l'elemento veramente interessante di questa avventura cinematografica che, probabilmente, ha accesso la fantasia di Villeneuve e la sua telecamera fin dall'inizio. Perché in questo film, più del thriller e delle sue molte rappresentazioni, conta il sottotesto capace di offrire la visione di un'America diversa, lontana anni luce dalla vita culturale di New York e dal sole di Los Angeles. In questa condizione altra gli uomini vivono attaccati a delle certezze etiche e morali che, per assurdo, determinano e amplificano, in caso di crisi, le loro debolezze. Per questo motivo, anche se ben nascosta dalla forma e dallo stile scelto, l'intero film sembra rivolto a comprendere cosa accade in una condizione di fede fervente ma, soprattutto, quali sono le reazioni umane ed impreviste scatenate da una sua inaspettata assenza. Perché, in alcuni casi estremi ma non rari, anche Dio può deludere, lasciando a se stesso un uomo ormai pericolosamente disabituato a vivere senza garanzie.

Movieplayer.it

3.0/5