Recensione Oggetti smarriti (2011)

Nonostante l'efficacia di una tematica da svolgere in una immaginaria linea di mezzo tra percezione reale e irreale, Giorgio Molteni non riesce a sposare questi due elementi con naturalezza imponendo, anzi, una continua interruzione narrativa

Smarrimenti e ritrovamenti

Spesso gli oggetti sembrano avere una propria vitalità. La stessa che li aiuta, in casi particolari, a nascondersi al nostro sguardo più o meno attento. Per questo motivo è semplice e prevedibile la possibilità di perdere chiavi, telefonini e perfino macchine, mentre è ancora avvolto nel mistero il modo in cui questi, improvvisamente, riappaiono tornando ad occupare un luogo vuoto fino a poco prima. Si tratta di un processo nato da semplice distrazione o dietro tutto questo si nascondono problematiche emotive ben più profonde? Certo è che, smarrire un cacciavite non comporta una perdita fondamentale nella vita di un uomo. Tutt'altro impatto, invece, ha la scomparsa di una bambina, in modo particolare per un padre separato sempre troppo impegnato e dedito agli aspetti più leggeri della propria vita. A vivere quest'esperienza fuori dal normale è Guido, architetto quarantenne che, dopo il divorzio, decide di tornare a vivere come un ventenne tra macchine sportive e belle donne. Peccato, però, che a richiamarlo alla realtà ci sia un'ex moglie e una bambina dolorosamente innamorata di lui. Così, durante una serata in cui è stato richiamato prepotentemente ai suoi doveri genitoriali, Guido scopre con terrore di aver perso sua figlia in un appartamento chiuso a chiave dall'interno.


Dopo una ricerca forsennata in ogni stanza si deve arrendere all'evidenza. La sua Arianna non si trova più nello stesso luogo dove l'aveva lasciata solo pochi secondi prima, esattamente come accaduto al cacciavite con cui stava fermando un improbabile specchio da soffitto. Ma come è possibile che un essere umano subisca la stessa sorte di un oggetto? E, soprattutto, non sarà Guido ad aver smarrito la strada nel tentativo di tornare verso la dimensione reale dove la sua vita lo attende? Utilizzando questi due interrogativi come spunto creativo, il regista Giorgio Molteni prova a costruire un intreccio narrativo e emotivo quanto meno insolito per il cinema italiano. Sempre inclini ad una definizione precisa del genere, le nostre produzioni raramente si lanciano in una commistione di forme e suggestioni, osando sovrapporre commedia, dramma introspettivo e racconto surreale. Senza alcun dubbio, ottenere un insieme omogeneo capace di utilizzare ben tre linguaggi e ritmi diversi non è semplice e l'errore si nasconde facilmente dietro l'angolo. Per questo motivo Oggetti smarriti, pur proponendo di base un'alternativa interessante dimostra che molti passi avanti devono ancora essere fatti in questa direzione.

Così, nonostante l'efficacia di una tematica da svolgere in una immaginaria linea di mezzo tra percezione reale e irreale, Molteni non riesce a sposare questi due elementi con naturalezza imponendo, anzi, una continua interruzione narrativa. Nell'architettura generale del film, il personaggio di Guido, interpretato da Roberto Farnesi, ha il compito di muoversi impercettibilmente tra due universi paralleli descritti e materializzati solo attraverso i mutamenti delle sue percezioni e lo stato emotivo di una mente in confusione. Un andamento che, gestito anche dalla guida sexy di Chiara Gensini, riesce a trovare una propria definizione attraverso l'utilizzo di sguardi, attese, riflessioni e immagini oniriche. Ad interferire in questo percorso già ben definito, però, il regista sceglie di inserire il "narratore" Michelangelo Pulci, che per quanto efficace nella sua enunciazione dei setti punti fondamentali da seguire per riportare se stessi fuori dal mondo degli oggetti perduti, impone delle sospensioni frequenti che rendono il suo film, se non un oggetto smarrito, sicuramente una creatura ancora alla ricerca di una personalità.

Movieplayer.it

3.0/5