Recensione Nottetempo (2012)

Nottetempo è un'opera che affonda le radici nella solitudine dei nostri tempi, un'opera sensoriale, intrisa di incertezza, ricca di suggestioni sonore e visive, folgorante nelle scelte musicali.

Le coincidenze dell'amore

Matteo (Giorgio Pasotti) è solo e il suo sguardo severo dice molto di lui. Fa fatica a sorridere e sembra custodire un dolore che è solo suo e che solo lui può capire. Il suo volto spigoloso e gli occhi gelidi rivelano un'anima solitaria, un'inquietudine che viene da lontano. Poliziotto della Stradale di professione e grande appassionato di rugby nel tempo libero, Matteo vive il presente come un limbo costruito sulle ceneri del passato e sull'incertezza del futuro. Sarà la notte, regina misteriosa e indecifrabile delle sue solitudini, a far riemergere segreti e ricordi dolorosi rimasti a lungo parcheggiati in un'area di sosta in cui il sole non batte più da tempo. Un evento del tutto casuale risveglierà in lui la voglia di ripercorrere il cammino a ritroso verso un luogo, un tempo e un amore ormai perduti; un viaggio, quello intrapreso da Matteo, che traccia una linea parallela al percorso di Assia (Nina Torresi), una ragazza che insegue da due anni un amore e un uomo al quale non ha il coraggio di dichiararsi, e a quello di Enrico (Gianfelice Imparato), un cabarettista di professione caduto in disgrazia che si ritrova ad inseguire una vendetta che appare come l'unica soluzione di tutti i suoi mali. Tre viaggi, tre decisioni prese di getto e un unico motore a propulsione: l'amore.


Inquietudini notturne
Sceglie la notte Francesco Prisco per ambientare il suo film d'esordio, ma non si tratta di una scelta squisitamente estetica. Nottetempo è un'opera che affonda le radici nella solitudine dei nostri tempi, un'opera sensoriale, intrisa di incertezza, ricca di suggestioni sonore e visive, convincente nella scrittura dei personaggi, nella scelta degli attori e nella narrazione, intrigante, anzi folgorante, nelle scelte musicali. Con uno stile asciutto e la voglia di esprimere un'idea di cinema denso che riesca quasi a toccare fisicamente lo spettatore, Francesco Prisco confeziona un film inusuale e affascinante cucendo addosso a Giorgio Pasotti un personaggio fuori controllo, cupo, freddo, incoerente, spocchioso, profondamente inquieto. La sua non è propriamente una faccia da cattivo ma in Nottetempo funziona alla grande nel ruolo di Matteo, un uomo che tenta di riprendersi a tutti i costi una vita che gli è sfuggita di mano e che, come un viscido pallone da rugby intriso di sudori e fatiche, non riesce più a riagguantare. Coincidenze, contraddizioni, sensi di colpa, sensazioni, sentimenti mai sbocciati e feriti immersi in un racconto senza pause, piacevolmente alienante, asfissiante e incalzante come solo l'amore sa essere.

Il terzo tempo
In Nottetempo il rugby, "uno sport bestiale giocato da gentiluomini", si fa antitesi di un modus vivendi all'insegna delle promesse disattese, degli inganni, degli egoismi e dell' incomunicabilità. E il terzo tempo diventa un momento di rivalsa, in cui l'avversario (come il destino) va aggredito, sconfitto, surclassato, umiliato, abbattuto, sfinito. Il rancore come assenza d'amore, il buio come assenza di luce e poi l'acqua con i suoi vapori impalpabili, essenze ed assenze di una vita che scorre davanti agli occhi come le gocce di rugiada sulle foglie, giochi di luce ammalianti e incastri narrativi che raccontano di vite agli antipodi, vissute a metà, intrappolate tra le montagne, tra le pieghe e le piaghe di amori inconfessabili e struggenti, tra i ricordi di un passato che non può tornare.
Notte di note, note di notte
Si ispira ai ritmi stranianti e all'immaginario filmico di Nicholas Winding Refn ma anche alle storie dolorose e piene di speranza messe in scena da Alejandro González Iñárritu, ma quello di Prisco è lungi dall'essere un film citazionista. Siamo di fronte ad un'opera intimista e originale, stilisticamente raffinata, unica nel panorama italiano contemporaneo e di difficile catalogazione, che spazia tra i generi senza rappresentarne nessuno, capace di alternare dolcezza e durezza e di raccontare, senza inutili verbosità, le sfaccettature più contrastanti e primordiali dell'animo umano. Ad amplificare l'intensità dei toni contribuiscono, e non poco, le scelte musicali e sonore messe in campo da Francesco Prisco e dai suoi collaboratori, sapientemente amalgamate a questa storia dolce e amara dalle sfumature noir. Il sottofondo di musica elettronica ci accompagna dal primo all'ultimo fotogramma, tra le braccia della notte fino al sopraggiungere della luce che filtra da angolazioni sempre insolite. Il dramma si fa sempre più incombente, l'urgenza di 'andare' si fa incontrollabile, e cullati dalla voce soave di Michael Kiwanuka, che con la sua Home Again lascia un'impronta indelebile nel cuore dello spettatore, arriviamo alla fine di questa storia, un capolinea immaginario che costringerà tutti a fermarsi e a guardare la realtà per quella che è. Ed è nel momento in cui il lancinante vibrato vocale di Antony Hegarthy e le note della sua devastante Cripple and the Starfish iniziano a diffondersi, che la notte allenta finalmente i suoi soffocanti tentacoli per lasciar posto ad una nuova alba, ad un nuovo amore, a un groviglio di dolore tutto da vivere.

Movieplayer.it

3.0/5