Recensione Mister Morgan (2013)

L'ultimo amore di Mister Morgan, solitario vedovo americano trapiantato a Parigi, che ritorna alla vita grazie all'amicizia e alle attenzioni di una giovane e vivace ragazza francese. Tratto da 'La Douceur Assassine' di Françoise Dorner, un film che parla di depressione, solitudine e legami familiari.

Ultimo amore

Una co-produzione tedesco-belga firmata dalla regista di Ricette D'Amore Sandra Nettelbeck che porta sullo schermo il romanzo francese La Douceur Assassine di Françoise Dorner; un piccolo film dai toni intimisti, che parla di solitudine e depressione, del ritorno alla vita attraverso le pulsioni di un amore senile che ha più i contorni di un'amicizia, lontano dai luoghi comuni e dalle regole di attrazione e seduzione delle classiche storie tra uomo maturo e giovane donna del filone "l'amore non ha età". Il film cambia la nazionalità del protagonista, il francese Monsieur Armand del libro diventa l'americano Mister Morgan, interpretato da uno straordinario Michael Caine la cui sola presenza è sufficiente a nobilitare l'intero film, affiancato dall'emergente Clémence Poésy che interpreta la ragazza che gli fa ritrovare la voglia di vivere, in una commedia agrodolce e malinconica dai toni forse anche troppo leggeri, dove non tutto funziona alla perfezione nonostante l'elegante fattura e la pregevolezza della confezione.


Risvegli
La storia è quella di Matthew Morgan (Michael Caine), professore americano di filosofia in pensione a Parigi, dove ha vissuto con l'amata moglie Joan (Jane Alexander) fino alla morte di quest'ultima: la vita per l'anziano e solitario vedovo sembra aver perso progressivamente di significato, le giornate sono vuote e ripetitive; l'uomo è depresso e privo di stimoli con l'idea di farla finita che sembra sempre sul punto di prendere il sopravvento. L'incontro causale con una giovane donna, l'insegnate di ballo Pauline, e le attenzioni della ragazza nei suoi confronti, sembrano risvegliare qualcosa in lui e lentamente riportarlo alla vita: tanto esuberante, ottimista e vitale, quanto anche lei sola e segnata da un vuoto familiare che cerca di colmare attraverso il rapporto con l'anziano professore, Pauline ridona a Matthew l'inaspettato conforto della compagnia e il gusto di un romanticismo perduto. Nonché la possibilità di recuperare i legami con la sua famiglia, soprattutto col figlio Miles (Justin Kirk), accorso al suo capezzale insieme alla sorella Karen (Gillian Anderson): gli effetti del last love di Mister Morgan avranno conseguenze inaspettate nella vita di tutti, e ognuno a modo sua imparerà a ritrovare amore, speranza e affetti perduti.

La cura
Evidentemente non c'è niente di sessuale o ambiguo nella relazione che si instaura tra i due protagonisti: le passeggiate, le lezioni di ballo, le conversazioni, anche il piacere del pudico romanticismo di un pranzo in un tavolo vicino alla finestra o di una gita in barca a remi sul lago, sono solo riflessi di un'amicizia intima sulla cui natura platonica il film non alimenta nessun dubbio.
Gli incontri tra i due sono piuttosto iniezioni di vita come antidoto alla depressione, la cura dal male di vivere, veicolano la capacità di riscoprire la propria affettività relazionale, in un percorso scandito da piccoli gesti e impercettibili mutamenti nella quotidianità, che porta i protagonisti, tutti, non solo Mister Morgan, a tornare lentamente alla vita, a lasciarsi alle spalle il passato e a guardare con speranza al futuro. Il pregio maggiore del film sta sicuramente nel riuscire a descrivere, soprattutto nella prima parte, l'unicità e la particolarità del rapporto che si instaura tra i due, grazie anche alla classe straordinaria di Michael Caine e alla freschezza e al candore di Clémence Poésy con la quale si crea una felice alchimia.

Dolcezza assassina
Alchimia che consente di richiamare in maniera equilibrata il tema delicato contenuto nel titolo stesso del romanzo e che proietta la storia oltre la dimensione scontata di un racconto di amore senile: la "dolcezza è assassina" e può essere ancora più fatale dell'indifferenza nei confronti della vita che ti uccide piano piano, una crepa in un mondo di rassicurante oblio, una distrazione fastidiosa che che turba l'esilio volontario nel quale si è scelto di sprofondare come elaborazione del proprio lutto. Un percorso raccontato per lunghi tratti in maniera impeccabile, con la regista che sceglie anche un approccio personale scegliendo un film dal taglio europeo e non francese: il film scritto e girato in inglese in una Parigi inconsueta e oltre lo stereotipo, consente sdrammatizzazioni di sorta giocando con i cliché dell'americano a Parigi e delle incomprensioni linguistiche a volte divertenti, destinate probabilmente a perdersi nel doppiaggio.

Buona la prima
Purtroppo gli ottimi presupposti della prima parte del film vengono in parte disattesi al momento di tirare le conclusioni nella seconda parte, quando l'attenzione si sposta sul recupero del legame col figlio e sul tentativo di analisi delle cause e delle conseguenze di un rapporto anaffettivo e antagonista tra i due, che si risolve in un confronto chiarificatore piuttosto forzato e sin troppo superficiale che stride con la spontaneità e la naturalezza delle situazioni che hanno guidato i protagonisti fin qui in questo percorso. Il processo, così ben messo in scena per tre quarti di film, di recupero della capacità affettiva e del superamento dei confini del proprio esilio emotivo, grazie ad una persona in cerca di famiglia che di una famiglia sfasciata dal lutto e dall'incomunicabilità diventa l'anello mancante, culmina in un finale interrogativo ed emotivamente carente che non soddisfa e lascia interdetti, appannando il giudizio su un'opera comunque pregevole, impreziosita dalla classe di un grande attore.

Movieplayer.it

3.0/5