Recensione Les Misérables (2012)

Tom Hooper ha scelto semplicità e immediatezza per preservare il cuore pulsante della storia di Victor Hugo e per dare il massimo risalto agli interpreti, che lo hanno ripagato senza risparmio.

La canzone della vittoria

Non stupisca la parola vittoria nel titolo della recensione di un film che parla di gente sconfitta dalla vita; perché il grande affresco storico che Tom Hooper ha realizzato ne Les Misérables, a partire dall'omonimo musical di Claude-Michel Schönberg e Alain Boublil, a sua volta ispirato al mastodontico romanzo di Victor Hugo, poggia su un assunto tanto forte quanto appassionante, e cioè la grande capacità degli esseri umani di resistere davanti alle tragedie e ai soprusi perpetrati dal più forte. E non solo in virtù di un premio ultraterreno, considerato come risarcimento per le angherie subite, ma anche (e soprattutto) per la veemenza che spinge a voler aggiustare quello che non funziona, a ridisegnare gli equilibri in favore di una giustizia giusta per tutti. Nella Francia segnata dalla Rivoluzione giacobina e in seguito dalle Guerre Napoleoniche, il popolo, entità affatto astratta, ma assolutamente reale, soffriva la povertà più atroce. Jean Valjean viene imprigionato per aver rubato un pezzo di pane. Condannato ai lavori forzati incontra l'uomo che rappresenta la sua nemesi, quel Javert diviso tra l'ammirazione per la tenacia e il coraggio del prigioniero e la completa devozione alla legge che gli impone di essere duro, spietato.


La fuga di Valjean e il desiderio di rifarsi una vita in un altro paese, diventando, grazie al lascito di un probo cardinale, il ricco signor Madeleine, è solo l'inizio di una lunghissima serie di avventure che portano l'uomo, anni dopo, a incontrare Fantine. Operaia di Madeleine, la donna viene licenziata dalla fabbrica perché rifiuta le avances del supervisore e si trova costretta a prostituirsi per curare la figlia illegittima Cosette. In colpa per non averle prestato l'attenzione che meritava, distratto dall'arrivo di Javert, Valjean-Madeleine giura a Fantine, ormai in fin di vita, di prendersi cura della figlia. Recuperata Cosette, trattata come una serva dai malvagi coniugi Thénardier, Valjean si dà ancora alla fuga.
Nove anni più tardi, nel 1832, le strade di Parigi sono infuocate dalla rivolta degli studenti, tra cui spiccano Marius e Enjolras. Quando Valjean arriva nella capitale, seguito dalla figlia adottiva Cosette, non può fare a meno di notare l'interesse che Marius prova per la ragazza, di cui si innamora a prima vista. Con Javert alle calcagna e una situazione in ebollizione dopo la morte del Generale Lamarque, unico uomo del governo a dimostrare interesse e benevolenza per i cittadini, la vita di Valjean è di nuovo ad una svolta...

Come si può facilmente dedurre dalla trama, esposta solo parzialmente, è un'opera molto articolata quella di Hooper, atteso al varco dopo il grande successo internazionale de Il discorso del Re. Non era affatto agevole adattare per il grande schermo uno spettacolo che in 25 anni di vita ha mietuto successi in tutto il mondo, diventando uno dei musical di maggiore rilevanza nella storia di questo genere così peculiare. Teatro e cinema non vanno di pari passo. Ciò che è ammissibile sulle tavole di un palcoscenico deve necessariamente diventare altro per essere un'opera cinematografica e a giudicare da quanto fatto, Hooper è riuscito nell'impresa, restando fedele a sé stesso e al proprio modo di intendere il cinema. A lui non interessano le mirabolanti soluzioni registiche, i montaggi frenetici o i vorticosi movimenti di macchina, soluzioni senza dubbio affascinanti, ma troppo distanti da suo stile; egli è prima di tutto un solido narratore, un cineasta attento ai minimi dettagli, poco incline all'eccessiva spettacolarità; proprio per questo apprezziamo la decisione di mettere in scena Les Misérables rispettandone la 'teatralità', come confermano del resto le esibizioni dal vivo di tutto il cast, ma anche attraverso un'impeccabile ricostruzione cinematografica.
Mai per un secondo si ha la sensazione di trovarsi davanti ad uno spettacolo teatrale filmato, anzi nel momento in cui si sfruttano le grandi possibilità della Settima Arte in termini di focalizzazione dei personaggi, il lavoro di Hooper diventa grande cinema; ecco che un primo piano di Anne Hathaway possa valere da solo l'intero film, o, al contrario, la poderosa sequenza iniziale, con il numero dei condannati ai lavori forzati, Look Down, ci permetta di cogliere subito uno dei cardini del film (l'opposizione/attrazione tra un ladro, costretto al crimine dalla necessità e un tutore della legge che non riesce ad andare oltre la semplice applicazione delle regole), facendoci inquadrare i due protagonisti in uno scenario più ampio e regalando loro un colore diverso. Di fronte ad un materiale così denso e complesso, nell'intreccio certo, ma soprattutto nei differenti piani di lettura a cui ogni vicenda si presta, politico, sociale, storico, l'autore britannico ha scelto semplicità e immediatezza per preservare il cuore pulsante della storia di Victor Hugo, la sua umanità, e per dare il massimo risalto agli interpreti, che lo hanno ripagato senza risparmio. Les Misérables narra di un tempo in cui la dignità umana veniva messa in secondo piano rispetto a tutto, dove per ragion di Stato si ammettevano stragi senza senso (il sangue dei caduti versato sulle strade dei Parigi, con la musica di Empty Chairs at Empty Tables, è una delle immagini più toccanti del film), dove le distinzioni tra classi sociali erano nette e incolmabili e i tentativi di sbarcare il lunario ancor più odiosi (i Thénardier, ladri intepretati con bravura da Helena Bonham Carter e Sacha Baron Cohen). Nella patria che ha costruito la propria Storia sui concetti di Liberté, Égalité, Fraternité, Libertà, Uguaglianza, Fratellanza, gli umili, i miserabili appunto, non avevano diritti.
Se il film ruota attorno al confronto aspro fra i due titanici personaggi di Valjean e Javert, Hugh Jackman e Russell Crowe, su opposte barricate nella vita, ma in fondo simili nella loro sete di giustizia e nella lealtà reciproca, al loro fianco si muovono indimenticabili figure femminili. Abbagliati dalle ipercinetiche eroine dei blockbuster più disparati, non siamo abituati a veder rappresentati al cinema personaggi così fragili e strazianti; il merito di Hooper sta (anche) nell'aver avvicinato alla nostra visione di spettatori smaliziati, donne come Fantine o Eponine, che portano sulle proprie spalle il peso di una vita violenta e segnata dal dolore e dalla rassegnazione, senza farle apparire improbabili, anzi stabilendo da subito una simpatia sincera, non di facciata. Anne Hathaway nei panni di Fantine riempie lo schermo con il suo volto emaciato ed angelico e con la sua versione di I Dreamed a Dream, forse il pezzo più noto del musical, è da brividi e, dopo aver conquistato il Golden Globe, si avvia con merito alla conquista del suo primo Oscar. Meno affilate le armi vocali di Russell Crowe che compensa con la presenza scenica il suo timbro non proprio perfetto; bravo invece Hugh Jackman in una performance di grande intensità (premiata anch'essa con il Golden Globe e candidata all'Oscar); sorprendenti anche Eddie Redmayne (Marius), Amanda Seyfried (Cosette), impegnata in una prova canora ben più complessa di Mamma Mia! e l'esordiente Samantha Barks (Eponine). Al di là dell'epicità della storia, Les Misèrables dimostra che l'incontro tra un gruppo di attori con la A maiuscola e un regista in grado di sfruttarne con autorevolezza il talento, può solo dar origine ad un'opera ricca e preziosa, che emoziona.

Movieplayer.it

4.0/5