Recensione La voz dormida (2011)

Zambrano confeziona un film di grande intensità, crudo e spietato nel presentare l'orrore della dittatura, ma anche in grado di far guardare con fiducia a un mondo in cui qualcuno riesce a mantenere la propria onestà, e la propria capacità di amare.

La rivoluzione delle donne

E' opinione comune che la rivoluzione, così come la guerra, sia cosa da uomini. E' al maschio che spetta la leadership politica e intellettuale, l'eroica morte sul campo, la venerazione nel ricordo di chi sopravvive. Le donne, al massimo, portano il lutto per i mariti e per i figli, piangono l'ingiustizia e la violenza. Invece, molto spesso le donne fanno, e sono, molto di più: sono soggetti consapevoli e attivi tanto quanto la controparte maschile, hanno la stessa coscienza sociale, la stessa determinazione, la stessa fiducia incrollabile nella necessità di lottare per la propria libertà. Il film di Benito Zambrano, tratto dal romanzo di Dulce Chacón, è dedicato a questo lato negletto della guerra, il lato che fa meno rumore e che difficilmente assurge agli onori della cronaca, ma che, annientando sistematicamente ogni speranza di normalità, è forse quello che ha le conseguenze più devastanti.

Siamo nel 1940, e in Spagna vige la dittatura franchista: Hortensia ne ha fatto le spese in maniera evidente, in quanto moglie di un guerrigliero comunista e quindi complice del movimento intenzionato a sovvertire il sistema. Hortensia è incinta, ma è comunque in prigione, in attesa di un processo che si rivelerà una squallida farsa, insieme ad altre mogli, sorelle, madri di uomini senza amor di patria e spesso, peccato ancor più grave, anche senza timore di Dio. Pepita, sua sorella, non ne condivide né la fermezza né la passione insopprimibile per la democrazia e la giustizia, ma si trasferisce comunque da Cordoba a Madrid per starle vicino. E quando Hortensia le chiede di farle da tramite nei suoi rapporti con il marito, nascosto con altri guerriglieri tra le montagne, Pepita non si tirerà indietro: ha paura, ma non è una codarda; non le interessa la politica, ma sa com'è che le cose dovrebbero andare; si lascia andare al pianto, ma non manca di carattere e di spirito di iniziativa. Questi due mondi al femminile, l'uno limitato al microcosmo spietato della prigione, l'altro che faticosamente tenta di sovvertire, nel suo piccolo, una società ostile, si intrecciano nell'avvincente narrazione di Zambrano, regalandoci un'esperienza cinematografica molto intensa, dal fortissimo impatto emozionale.

Merito senz'altro delle due protagoniste, scelte evidentemente anche in base a una precisa fisicità che, pur inquadrandole in un certo stereotipo (Hortensia ha i tratti forti, sfacciatamente belli, della donna passionale, dell'eroina che non si mostrerà mai debole, tanto quanto Pepita sembra minuta e fragile, finché non sfodera il suo piglio deciso, il coraggio mai ostentato di chi fa il suo dovere senza cercare la gloria), è accompagnata da una profondità di interpretazione trascinante. Ma merito anche di una sceneggiatura che non ci risparmia sequenze strazianti, ci fa avvertire tutta l'inquietudine di chi si sente intrappola, dietro le sbarre o fuori in una gelida Madrid poco importa, ma che sa soprattutto colpirci con il lato migliore dell'essere umano. Ci sono gli aguzzini, ci sono i torturatori, ci sono i carcerieri che, sotto le tonache e gli abiti talari, nascondono abissi di odio e cattiveria, ma più di tutto c'è la solidarietà tra compagne di cella, c'è il rischiare la propria libertà e la propria vita per curare un ferito, o per far incontrare un marito e una moglie, e c'è l'amore. L'amore di un uomo per una donna, di una madre per un figlio: Zambrano, traducendo in immagini il libro della Chacón, sembra volerci dire che l'amore può sopravvivere alla sofferenza, all'orrore, alla paura, e che forse amare è l'atto più rivoluzionario che si possa compiere, perché è solo amando che troviamo un motivo per costruire un mondo diverso, più giusto, e la forza per tentare di farlo.

La voce addormentata è un film che chiede allo spettatore di lottare insieme alle sue protagoniste: di soffrire, ma anche di non arrendersi alla disillusione, di non lasciarsi sconfiggere da un nemico che sembra inaffrontabile. Ci chiede di mantenere la nostra onestà, la nostra integrità indipendentemente da quale sia il prezzo, perché è l'unico modo per dare un senso alla propria vita e, se si è davvero pazienti, e anche un po' fortunati, è anche l'unico modo di essere felici.

Movieplayer.it

3.0/5