Recensione La religiosa (2013)

Il film di Guillaume Nicloux dosa con sapienza scene forti e momenti più intimi e riflessivi, rileggendo a suo modo un'opera letteraria meno celebre di altre, ma a suo modo essenziale.

Ribelle

Per il suo La religiosa, il regista Guillaume Nicloux ha dichiarato di aver evitato la visione della celebre versione di Jacques Rivette del 1967 per confrontarsi con l'opera originaria, il romanzo postumo di Denis Diderot. Nicloux rielabora la materia letteraria realizzando un period movie accurato nell'ambientazione, che presenta, però, molteplici fughe verso la contemporaneità. L'ostinato rifiuto delle imposizioni da parte della sua protagonista, la sventurata Suzanne Simonin (interpretata dalla rivelazione Pauline Etienne), lo spirito di ribellione, l'autoaffermazione dell'individualità e della volontà personale sono ingredienti fondamentali di una pellicola che offre allo spettatore modelli femminili di notevole impatto e modernità non solo per l'epoca narrata, ma anche per il presente. L'originalità di Guillaume Nicloux sta soprattutto nel trattamento dei personaggi e nelle scelte, talvolta spiazzanti, del cast.


L'interpretazione di Pauline Etienne è semplicemente perfetta. In attività da solo quattro anni, la giovane attrice belga sprigiona un'energia drammatica che la rende credibile nel ruolo della figlia (illeggittima) terzogenita di una famiglia nobile costretta a prendere i voti per espiare il peccato della madre fedifraga. La sedicenne Suzanne non si piega docilmente ai voleri del severo padre, ma oppone fieramente resistenza facendo appello a un candore e a un'onesta di fondo che le impediscono di mentire di fronte a Dio spingendola a confessare di non avere alcuna vocazione. Il desiderio di Suzanne di vivere un'esistenza normale come le sorelle, che hanno entrambe contratto matrimonio, la costringeranno a scontare con enormi sofferenze, mentali e fisiche, l'esercizio della propria volontà. Nella galleria di figure femminili che incrociano il cammino di Suzanne troviamo l'austera madre (Martina Gedeck), che antepone il bene della famiglia a quello della figlia, e le madri superiore dei conventi in cui la giovane viene inviata. Alla comprensiva Francoise Lebrun, che rappresenta l'anima candida di un ordine religioso con cui Diderot non è certo tenero, denunciando corruzione e malefatte degli ecclesiastici, succede Suor Christine, madre superiora feroce e vendicativa che sottopone Suzanne a umiliazioni e punizioni corporali le quali sfociano in torture vere e proprie. A interpretarla, con una scelta inusuale, è la statuaria Louise Bourgoin che prova a far dimenticare la bellezza che la contraddistingue con una performance drammatica volonterosa, ma un po' troppo monocorde.

Con l'arrivo della diva Isabelle Huppert il film cambia passo, deviando dal tono drammatico per scivolare nel grottesco. La Huppert, che non teme le sfide, accetta di farsi cucire addosso un personaggio eccessivo, capriccioso, una madre superiora lesbica e ninfomane i cui comportamenti imprevedibili strappano qualche risata sbilanciando un opera fino a questo momento compatta. Nel complesso il film di Guillaume Nicloux dosa con sapienza scene forti e momenti più intimi e riflessivi, rileggendo a suo modo un'opera letteraria meno celebre di altre, ma a suo modo essenziale. Notevoli la cura nell'ambientazione e il contributo tecnico del direttore della fotografia Yves Cape, collaboratore abituale di Bruno Dumont, che con un sapiente impasto di luci e ombre illumina una manciata di notevoli perfomance femminili.

Movieplayer.it

3.0/5