Recensione La migliore offerta (2013)

Tornatore racconta un'atipica storia d'amore dai toni noir, con una regia densa e avvolgente e valendosi della prova di uno straordinario Geoffrey Rush.

L'offerta che cambia la vita

Virgil Oldman è uno stimato antiquario, che vive in totale solitudine e soffre di un'istintiva ritrosia nei confronti degli altri. L'uomo, celebre nel suo ambiente come battitore d'aste e intenditore di opere d'arte, coltiva pochissimi e selezionati rapporti personali: tra questi, quello col collega di lungo corso Billy e quello col giovane Robert, abile restauratore di congegni meccanici. Il giorno del suo sessantatreesimo compleanno, Virgil riceve la telefonata di una giovane donna, Claire, che gli chiede di effettuare una valutazione sul mobilio della sua magione di famiglia. All'appuntamento stabilito, la donna tuttavia non si presenta: Virgil, infastidito, è deciso a liquidarla, ma dopo le scuse di Claire accetta malvolentieri un secondo appuntamento. Anche stavolta, però, Claire non si fa vedere, lasciando al suo domestico il compito di scortare Virgil all'interno della proprietà. Per qualche motivo, in tutte le occasioni successive, la ragazza evita regolarmente di mostrarsi a Virgil, comunicando con lui solo da dietro la porta chiusa di una stanza della casa. Pare che nessuno, compreso il domestico, abbia mai effettivamente visto la giovane. Virgil inizia così ad essere intrigato dalla fantasmatica presenza di Claire; ma il suo interesse si punta anche su alcuni pezzi meccanici ritrovati in casa, che l'uomo scopre essere parte di un congegno antichissimo...


Dopo un progetto grande, coraggioso e poco equilibrato come quello di Baarìa (con tutte le polemiche che l'hanno accompagnato) Giuseppe Tornatore cambia decisamente temi e atmosfere. La migliore offerta, opera su cui il regista ha scelto di mantenere fino all'ultimo una coltre di silenzio, è una pellicola dal respiro internazionale (l'imprecisata ambientazione mitteleuropea è frutto di esterni girati in varie città del Vecchio Continente) che tuttavia si caratterizza per il taglio personale e per un'atmosfera densa, enigmatica e quasi rarefatta. Il riferimento più vicino, nella filmografia di Tornatore, è probabilmente il suo thriller del 2006 La sconosciuta: alcuni motivi di fondo (l'ossessione per gli spazi, il dolore della memoria, l'attrazione tra personaggi borderline), nonché il fascinoso senso di mistero emanato dalla narrazione, sono effettivamente affini alla pellicola interpretata da Kseniya Rappoport. Qui, tuttavia, il regista siciliano si affranca ulteriormente dalla struttura del thriller, confezionando un prodotto al confine tra i generi, difficile da classificare e proprio per questo tanto più affascinante: quella che vede protagonista il solitario Virgil (interpretato da un grande Geoffrey Rush) è piuttosto un'atipica storia d'amore, che si colora da subito di toni noir e viene narrata come un giallo. Il mistero che il protagonista è chiamato a dipanare è quello dell'anima della giovane Claire, e la sua sarà una personale indagine che modificherà a fondo anche il suo stesso essere.

Il film pone subito a confronto, dialetticamente, il mondo di Virgil con quello di Claire, mostrando i parallelismi, anche spaziali, tra due esistenze ai margini: la bianca, asettica realtà della casa dell'uomo, con quello studio nascosto (rappresentato da scenografie quasi sci-fi) in cui l'antiquario rimira centinaia di volti di donna, surrogati di una carne che è pericoloso persino toccare; gli interni barocchi e decadenti della villa di Claire, ignorati però dalla donna perché già troppo grandi, anticamera delle pericolose visioni rintracciabili all'esterno. Due sensi (auto)menomati, quindi: il tatto da una parte e la vista dall'altra. Solo l'incontro e l'avvicinamento reciproco potranno riattivarli ed aiutare entrambi i personaggi. Il film di Tornatore, attraverso l'incontro tra questi due caratteri "speciali", riflette sui confini tra il vero e il falso, sull'idea stessa di messa in scena, sull'autenticità rintracciabile nell'impostura (sempre rinnovata) dell'arte, e su quanto di fittizio e di ingannevole si può rinvenire (anche) nei più autentici sentimenti umani. E' questo giocare, pirandellianamente, sul confine tra realtà e finzione e sulle loro compenetrazioni, a costituire uno degli aspetti più interessanti del film: Virgil e Claire compiono un percorso, ognuno a modo proprio, che li porta a una maggiore comprensione di sé stessi e del mondo. Un risultato reale e tangibile, seppur passato attraverso un percorso ricco di insidie e inganni: interessante anche il ruolo rivelatore di quell'automa meccanico, che curiosamente si fa "testimone" in maniera analoga al suo omologo dello scorsesiano Hugo Cabret.

Solo nell'ultima parte di questo riuscito La migliore offerta si può forse rinvenire qualche lungaggine, in uno script generalmente ben congegnato, tradotto in immagini da una regia elegante e avvolgente; in un cast di ottimo livello, oltre al già citato Rush, spicca ovviamente l'intrigante e fragile co-protagonista Sylvia Hoeks (che fa la sua entrata in scena a metà film), senza dimenticare i contributi di Jim Sturgess e di una leggenda vivente come Donald Sutherland. Fa sempre piacere, inoltre, ritrovare sullo schermo le note di Ennio Morricone, specie in progetti così affini al suo modo di sentire il cinema in musica: parte dell'impatto emotivo del (bel) finale è anche merito suo. Si fa fatica, attualmente, a immaginare un autore come Tornatore privo del suo fondamentale apporto.

Movieplayer.it

3.0/5