Recensione La battaglia di Solferino (2013)

Il film della Triet trova la sua energia nella qualità dei dialoghi, logorroici, sfibranti, caotici e proprio per questo estremamente credibili e in uno stile registico essenziale e pulito che porta la macchina da presa in mezzo alle persone, là dove la storia si compie, ma anche in alto, quasi a cercare un'oggettività diversa, una distanza che non è freddezza.

La pace è dichiarata

E' il 6 maggio del 2012. In Francia si tiene il ballottaggio delle presidenziali; da un lato c'è il presidente in carica, Nicolas Sarkozy, leader dello schieramento conservatore, dall'altro, il socialista François Hollande, nettamente favorito sul concorrente. Laetitia è una giornalista che deve coprire l'evento per tutta la giornata. Non è tranquilla, l'ex compagno Vincent, spiantato disegnatore di fumetti, la tormenta da diversi mesi per poter vedere le figlie, Jean e Liv. Affida quindi le bambine ad un babysitter, raccomandando al ragazzo di non far mai entrare a casa Vincent. L'uomo naturalmente si presenta nell'appartamento, carico di doni per le piccole, e viene invitato ad andarsene da un vicino appositamente indottrinato da Laetitia. Nel frattempo rue de Solférino, sede del partito socialista, è invasa dai sostenitori di Hollande e la reporter è impeccabile nei suoi collegamenti, nonostante la sua mente sia concentrata sulla situazione familiare.

Osannato in patria dov'è stato generosamente considerato un capolavoro, il film di Justine Triet, La bataille de Solférino, presentato in concorso al Torino Film Festival, trova la sua energia nella qualità dei dialoghi, logorroici, sfibranti, caotici e proprio per questo estremamente credibili e in uno stile registico essenziale e pulito che porta la macchina da presa in mezzo alle persone, là dove la storia si compie, mescolandosi tra la gente, ma anche in alto, con le panoramiche di Rue de Solférino affollata, quasi a cercare un'oggettività diversa, una distanza che non è freddezza. Più di tutto, però, ad affascinarci è il modo in cui la regista risolve i contrasti tra i protagonisti, un modo che non è mai studiato a tavolino, ma che segue quasi in tempo reale l'evoluzione dei personaggi, rispettandone i ritmi. Un'abilità che diventa essenziale nel lavoro con le due bambine, che non sono considerate dei puri ornamenti, o peggio, delle 'bambole' che suscitino emozioni posticce. "La natura umana è di destra, perché quando un bambino gioca costruisce grattacieli, non fa l'impiegato statale", dice uno dei sostenitori di Sarkozy nelle interviste compiute da Laetitia prima dell'annuncio dei dati definitivi delle elezioni; è la stessa autrice a divertirsi a confutare questa teoria, quando ci mostra le bellissime Liv e Jean, piccole persone che con gli altri hanno un rapporto basato solo sulle emozioni. Alzano le braccia quando vogliono conforto, danno baci, piangono se qualcosa le disturba. E al momento opportuno una delle due sa anche 'verbalizzare' quell'affetto, pronunciando la prima importantissima parola.

Nel titolo si allude ad una battaglia, ma sono tre i 'fronti' su cui questo conflitto si struttura; c'è una donna (Laetitia Dosch) che deve conciliare professione e vita familiare, leggermente nevrotica e molto fragile, un uomo (Vincent Macaigne), considerato pericoloso dalla ex, che non vuole perdere l'affetto delle figlie, capace di gesti d'amore folli e disinteressati, e, ultimo, ma non meno importante, c'è la politica, con lo scontro tra destra e sinistra, conservazione e rivoluzione. La vittoria del socialista Hollande, simbolo della speranza nel rinnovamento, rappresenta un'ulteriore chiave di interpretazione della storia, alludendo a tutti quei cambiamenti che possono realizzarsi, anche nelle situazioni più difficili e insostenibili, come succede ai duellanti del film, addolciti, al termine di una discussione senza fine, da un bicchiere di vino rosso. La Triet riesce quindi a ritagliare il giusto spazio per ogni singolo carattere, dando a ciascuno un momento per emergere; succede con Laetitia, alle prese con la giornata più importante della sua vita, con Vincent, che rivendica il diritto di essere padre, anche se a volte è "duro da difendere", con Arthur, avvocato di Vincent e ago della bilancia dell'aspro contrasto tra i due ex coniugi, e anche con Virgil, nuovo compagno di Laetitia, creatura un po' naif ma simpatica. Per essere perfetto il film avrebbe dovuto possedere più intensità emotiva; in certi momenti l'insieme risulta fin troppo controllato, frenato, ma è un'opera prima che non si dimentica.

Movieplayer.it

3.0/5