Recensione L'amore inatteso (2010)

L'amore inatteso, datato 2010 e tratto da un romanzo autobiografico di Thierry Bizot, prova ad affrontare il tema della fede in un contesto familiare razionalista e borghese: ma il risultato manca di spessore e approfondimento.

Tradire con Gesù

Antoine è un avvocato parigino che ha tutto: una carriera di successo, una bella moglie con due figli, una vita agiata e soddisfacente. Certo, c'è qualche problema di incomprensione con Arthur, il figlio adolescente, e difficoltà irrisolte verso la famiglia di origine: in particolare, col burbero e impenetrabile padre, e con lo scellerato fratello, che continua a dissipare le ricchezze di famiglia. Per il resto, però, la vita di Antoine va a gonfie vele: almeno, fin quando il preside della scuola di Arthur non lo manda a chiamare, apparentemente per parlare del rendimento scolastico del figlio. La sorpresa, però, è che in realtà il ragazzo non ha nessun problema con lo studio: il preside sembra più interessato a discutere della situazione familiare di Arthur, e in particolare dei rapporti con Antoine. Quasi casualmente, l'uomo lancia all'avvocato un'idea: un gruppo di catechesi per adulti, articolato in una serie di incontri tenuti da un prete cattolico. Antoine, di educazione cattolica ma da tempo lontano dalla religione, accetta di partecipare al primo incontro solo per cortesia. Qualcosa nell'atmosfera del gruppo, però, finisce per catturarlo: lo scetticismo iniziale si trasforma in curiosità, e poi gradualmente in convinta adesione. Gli incontri settimanali diventano irrinunciabili, mentre l'uomo riscopre una spiritualità che credeva dimenticata. Il problema, però, è che la moglie Claire, all'oscuro di tutto, inizia a guardare con sospetto gli allontanamenti serali di Antoine.


La distribuzione tardiva di questo L'amore inatteso, datato 2010 e tratto dal romanzo autobiografico di Thierry Bizot (marito della regista Anne Giafferi) si inserisce forse in una logica di recupero delle tematiche trascendenti sul grande schermo, rese attuali dal grande fervore fatto registrare dal mondo cattolico negli ultimi mesi. In sé, non c'è niente di male in questa voglia di esplorazione del sacro, tema da sempre ricco di potenzialità e suggestioni per il cinema: laicamente, la questione della fede è stata terreno fertile per la Settima Arte nel corso di tutta la sua storia, producendo anche capolavori come quelli di Carl Theodor Dreyer, Ingmar Bergman o Martin Scorsese (solo per fare qualche nome). Pur ponendosi con la massima imparzialità di fronte a un'operazione del genere, quindi, non si può tuttavia non registrarne gli evidenti limiti: limiti che risiedono proprio nel mancato raggiungimento degli obiettivi che il film si proponeva. La descrizione del "tocco" del cuore di un uomo da parte della divinità, il cambiamento delle prospettive di vita implicato dal contatto col sacro, la convinta adesione a un'idea di comunità che ha al suo centro il rapporto personale con un'entità trascendente: tutto ciò, nel piccolo film della Giafferi, sembra appena accennato, sottinteso, o piuttosto dato per scontato. Iniziato come una storia di rapporti familiari difficili, in cui si innesta l'elemento del sacro, il film prosegue suo malgrado su questi binari: vediamo il protagonista Eric Caravaca seguire con sempre maggior entusiasmo i suoi incontri, vediamo il suo atteggiamento verso la sua famiglia cambiare, ma non intuiamo mai i motivi (reali) di tale trasformazione. Il percorso interiore del protagonista, che (ri)scopre la fede e ne fa parte integrante della sua vita, resta in ombra.

Nonostante le intenzioni della sceneggiatura, le parti più riuscite de L'amore inatteso sono quelle che descrivono la trama di rapporti familiari del protagonista, in primo luogo quello con il figlio Arthur, credibile figura di adolescente che si trova a scontrarsi con un genitore (egli stesso) in crisi; e quello dello stesso Antoine con una complessa figura di padre, che ha finito per influenzarlo più di quanto lo stesso avvocato avrebbe voluto nell'educazione di suo figlio. I paralleli con gli episodi biblici (in particolare quello con la parabola del figliol prodigo, incarnata dal fratello Alain) sembrano piuttosto pretestuosi, elementi inseriti un po' forzatamente in un film che, quali che fossero le sue intenzioni iniziali, va ad esplorare soprattutto le complesse interazioni di una famiglia borghese. Molto più deboli sono quegli episodi che avrebbero dovuto dare sostanza alla storia, la descrizione degli incontri di catechesi, l'interazione con la figura del sacerdote (interpretato da Philippe Duquesne) e soprattutto, come già detto, la graduale riscoperta della fede da parte del protagonista. Non basta mostrare un impatto (quasi) da rapporto extraconiugale, sulla stabilità matrimoniale della coppia, degli incontri settimanali del protagonista, non basta limitarsi all'aspetto esteriore (la continua lettura dei libri religiosi) o al contrasto un po' telefonato tra i momenti positivi e di armonia e quelli più tesi, corrispondenti rispettivamente all'attivismo religioso di Antoine e alla sua successiva pausa. L'"inoculazione" del germe della fede, germe in teoria tale da operare un cambiamento radicale, interiore ed esteriore, resta malgrado tutto sullo sfondo. In questo, non aiuta neanche una regia timida, che lascia fare il grosso del lavoro agli attori (comunque tutti sufficienti) senza rischiare guizzi o sottolineature particolari.

Movieplayer.it

2.0/5