Recensione Khumba - Cercasi strisce disperatamente (2013)

Diretta da Anthony Silverston, l'animazione sudafricana s'inserisce nella tradizione narrativa della Disney lasciando al suono e all'immagine il compito di caratterizzare l'insieme

Quante strisce per fare una zebra?

Chi pensa che il 3D applicato all'animazione sia una tecnica riservata al solo consumo di Disney e DreamWorks si sbaglia di grosso. Così, posto che il suo utilizzo non sia sempre necessario e che i tentativi fatti fino ad ora fuori dal territorio americano non siano sempre stati dei migliori, anche l'industria cinematografica sudafricana ha voluto dire la sua sulla ormai non più nuova tecnica con Khumba - Cercasi strisce disperatamente. Distribuito dalla Eagle Pictures anche 2D, l'animazione nasce negli studi della giovane Tiggerfish Animation Studios, già premiati per Zambezia, ed è diretta dal regista Anthony Silverston.
Protagonista indiscussa del film è una giovane zebra nata all'interno di un branco un po' gretto e superstizioso. Al nuovo arrivato viene dato il nome di Khumba, il cui significato nella lingua Zulu è pelle e mai scelta fu più appropriata visto che il cucciolo è venuto al mondo con solo metà corpo zebrato. E' così che il suo nome mette in evidenza una caratteristica unica che, bel lontano dal renderlo speciale, gli garantisce solo il sospetto dei suoi simili. Gli unici ad accettarlo pienamente sono i suoi familiari e l'inseparabile amica Tombi, ma la situazione è destinata a peggiorare con l'arrivo di una terribile siccità. Il branco, credendo da sempre che il suo arrivo sia stato un presagio di sventura, lo identifica come capro espiatorio isolandolo dal gruppo. A Khumba non rimane che avventurarsi alla ricerca di una fonte leggendaria in cui le prime zebre della zona si immergevano per ottenere una pelle liscia. Il vero scopo di questo lungo percorso e degli incontri con le solitarie creature oltre la zona del Karoo, però, non è certo il ritrovamento delle zebre perdute ma l'accettazione incondizionata di sé stesso con o senza l'approvazione del gruppo di appartenenza.


Dumbo, Nemo e Khumba, quando la diversità è un pregio
Nel fantastico mondo di Walt Disney la difficoltà è stata sempre inserita come un elemento necessario per creare la drammaturgia nel percorso dell'eroe/eroina, diventando così un elemento senza il quale il narratore non avrebbe mai potuto dare dimostrazione e applicazione della morale finale. In questo ambito rientra perfettamente il sacrificio della mamma di Bambi, capace di far straziare intere generazioni di bambini, e il senso di colpa per la morte del padre imposto senza troppi complimenti al leone Simba e ai suoi giovani sostenitori. In questo insieme, però, un discorso a parte merita l'uso della diversità fisica che, nonostante venga messa a confronto con il giudizio impietoso della comunità, spesso si trasforma in un'arma vincente attraverso la quale dare espressione unica di se stessi. Da tale interpretazione nascono le orecchie eccezionali di Dumbo grazie alle quali prendere letteralmente il volo da una realtà restrittiva e la pinna atrofica di Nemo con cui affrontate una vera e propria traversata evolutiva. Da parte sua Khumba, se non parente stretto, è sicuramente amico intimo di queste due storiche figure disneyane. La diversità la porta ben impressa sulla pelle e nell'assenza di un "colore" e di una "fantasia" è scritta la sua condanna da parte del gruppo. Ma come tradizione della miglior animazione per ragazzi vuole, questo non può che essere una spinta verso il riscatto e l'accettazione di se stessi. Anche se, evidentemente in questo caso specifico, il discorso della manto zebrato mancante nasce da una riflessione ben più importante di un paese in cui la questione della pelle ha caratterizzato gran parte della sua storia contemporanea.

Creare il Sudafrica

Che la vicenda di Khumba metta in atto una serie di strategie narrative ben note e rientri, così, in una scia piuttosto tradizionale rischiando di non dire nulla di nuovo risulta evidente dalla struttura della storia come dalla gestione dei personaggi. Quello, però, che personalizza con forza l'animazione è la "messa in scena" di un paesaggio inconfondibile e particolare: si tratta della magia e del ritmo del Grande Karoo. Lo spettatore si trova così protagonista di un viaggio emozionante attraverso una terra antica caratterizzata da numerose differenze e contrasti. Ma come è stato possibile riportare tutto queste qualità tattili sullo schermo, lasciando che i profumi e i suoni di quei luoghi facessero da sfondo naturale alle ricerca di se stessi? L'impresa non è stata certo facile, visto che ad un primo sguardo il Karoo è caratterizzato da un arido paesaggio con alcune alture. Dare vita a questo luogo, almeno nel mondo di Khumba, ha voluto dire caratterizzarlo con molti elementi che traggono ispirazione da animali, persone o storie della tradizione sudafricana. E per ottenere questo si è lasciato la parola a formazioni rocciose come la Valle della Desolazione e a piante esotiche capaci di sviluppare delle caratteristiche particolari per sopravvivere in una zona dal clima tanto secco. Il tutto per dimostrare, ancora una volta, che per la natura come per l'uomo la diversità è la chiave di volta per vivere al meglio.

Movieplayer.it

3.0/5