Recensione Key of Life (2012)

Presentato nell'edizione 2013 del BIFFF, il film di Kenji Uchida si rivela di più di una semplice commedia per il grande pubblico, mostrando anche un'interessante componente metacinematografica e di riflessione sull'arte del recitare.

Attori, sicari e altri guai

Sakurai è un attore fallito, disoccupato e con il ricordo di un amore finito male, che vive in uno squallido appartamento di un quartiere periferico, e non ha fortuna neanche quando tenta il suicidio. Un giorno, durante una visita ad un bagno termale, il giovane è testimone di un incidente: un uomo scivola su una saponetta e cade, battendo violentemente la testa. Per un capriccio del momento, Sakurai decide di scambiare le chiavi del suo armadietto con quelle dello sconosciuto, e di frugare tra le sue cose. Con sua sorpresa, scopre che l'uomo è in realtà un gangster di nome Kondo, killer letale e inafferrabile, una vera e propria leggenda nel mondo della malavita. Nel frattempo, il criminale si risveglia e si ritrova vittima di un'amnesia totale: trovatosi con i documenti di Sakurai, si convince suo malgrado che quella è la sua identità. Lo spietato Kondo, convinto di essere un attore da quattro soldi, si scoprirà presto innamorato di una giovane e ingenua impiegata; ma lo scambio di identità si rivelerà presto pericoloso per Sakurai, trovatosi catapultato all'improvviso nel mondo della malavita.

Dopo la premiere al Festival di Toronto di un anno fa, la commedia di Kenji Uchida Key of Life approda ora al Bruxelles International Fantastic Film Festival, riscuotendo gli stessi consensi. Il tema dello scambio di identità è vecchio quanto il cinema, e le influenze mostrate dal film di Uchida sono più occidentali che asiatiche (il cult Una poltrona per due è il primo esempio che viene in mente): tuttavia, questa commedia ha il pregio di avere una sceneggiatura perfettamente congegnata, che mescola abilmente i motivi della screwball comedy con il noir e con una versione parodiata dello yakuza movie. Il risultato, nonostante la trama possa far pensare a un prodotto piuttosto convenzionale, è qualcosa di più di una gradevole commedia per il grande pubblico: la semplicità dell'intreccio iniziale si complica con il progredire della narrazione, e non mancheranno le sorprese nella scoperta delle identità di Sakurai e Kondo, archetipi narrativi che Uchida smonta e trasforma con grande ironia. E' molto interessante, e segno di una scrittura attenta e consapevole, la riflessione sull'identità e sull'arte del recitare, prodotta da entrambi i personaggi: Sakurai, attore svogliato e apparentemente mediocre, si trova per la prima volta a dover recitare per sopravvivere, interpretando un ruolo lontanissimo dalla sua personalità; mentre Kondo, libero del 'ruolo' imposto dal lavoro di sicario, può riscontrare un suo lato più autentico, ma nel frattempo (ri)scoprire la sua abilità nel recitare, frequentando il set cinematografico che sarebbe dovuto essere del giovane.
Molta della riuscita di Key of Life è data anche dai due interpreti Masato Sakai e Teruyuki Kagawa (ricordiamo quest'ultimo in Tokyo Sonata di Kiyoshi Kurosawa): entrambi si rivelano molto abili nella varietà di registri che la sceneggiatura impone loro, e in particolare il secondo appare a suo agio sia nell'identità di sicario spietato e dallo sguardo freddo, sia in quella di uomo sprovveduto e innamorato, con l'espressione ingenua di un ragazzino. La componente metacinematografica, e di destrutturazione del genere, non toglie nulla alla godibilità del film di Uchida, che resta un prodotto pensato essenzialmente per il pubblico: perfettamente leggibile attraverso i suoi incastri e le sue sciarade narrative, capace di mantenere un ritmo sostenuto nonostante le oltre due ore di durata. Il suo clima dolcemente fiabesco, espresso anche nella componente sentimentale, non disturba lo spettatore più smaliziato, che ne ha già potuto cogliere le premesse e la natura (auto)ironica.

Movieplayer.it

3.0/5