Recensione In Trance (2013)

Dopo i recenti successi e i riconoscimenti ottenuti dall'Academy, Boyle si dedica ad un progetto più piccolo e personale, la cui messa in scena è comunque coerente con lo stile elaborato dal regista in un ventennio di carriera.

L'arte di ricordare

L'arte del furto, specie quello di beni dal valore inestimabile, si è evoluta e perfezionata negli ultimi decenni. Sono lontani i tempi in cui si poteva entrare in una casa d'aste e uscirne, praticamente indisturbati, con un dipinto dal valore milionario; guardie e ladri hanno reciprocamente perfezionato i loro accorgimenti, tecnici e d'intelligenza, in una continua gara che ha una posta in palio altissima. Ma nonostante tutto, come ci ricorda James McAvoy all'inizio di In Trance, nuovo film di Danny Boyle, "nessuna opera d'arte vale una vita umana". Com'è immaginabile, la trama del film di Boyle si incaricherà presto di smentire questo assunto: McAvoy è Simon, giovane impiegato di una casa d'aste coperto dai debiti di gioco, che decide di uscire dai suoi guai aiutando il ladro Franck, che ha il volto di Vincent Cassel, a rubare un noto e ambitissimo capolavoro di Goya. Il problema è che Simon, nel bel mezzo del furto, prende un'iniziativa personale che lo porta a subire un colpo alla testa dallo stesso Franck, cadendo in coma e svegliandosi poi in preda ad amnesia. Del quadro, nessuna traccia: Franck e i suoi scagnozzi mettono inutilmente sotto torchio il giovane, prima di rassegnarsi all'evidenza del fatto che, nella sua mente, si è davvero creato un "buco nero" in cui è nascosta, da qualche parte, l'informazione sul nascondiglio del dipinto. Per venire a capo del problema, gli uomini decidono di chiedere l'aiuto di Elizabeth, psicologa esperta in ipnotismo con il volto di Rosario Dawson, che aiuterà Simon a scavare nei meandri della sua memoria e a recuperare l'informazione cancellata. Ma, prima di arrivare ad essa, il giovane dovrà far fronte a un intrico di ricordi confusi e potenzialmente pericolosi.


Dopo i grandi successi di The Millionaire e 127 ore, con i riconoscimenti (in termini di premi e nomination) da parte dell'Academy, Boyle si è dedicato con questo In Trance ad un progetto dalle dimensioni più piccole, che vuole idealmente ricollegarsi ai suoi esordi. Il modello ideale, il suo thriller d'esordio Piccoli omicidi tra amici, è evidente sia nelle peculiarità della trama, sia nel cinismo di matrice noir che questa vorrebbe esprimere; con la presentazione di personaggi che svelano gradualmente i loro lati oscuri, e la riflessione sull'avidità umana che sovrasta qualsiasi altra motivazione all'azione, compresi i sentimenti. Tuttavia, quasi un ventennio è passato da quell'esordio, e lo stile secco ed essenziale che lo contraddistingueva si è nel frattempo modificato, passando attraverso mode e generi diversi: la messa in scena di In Trance, come quella di molti degli ultimi lavori di Boyle, è elaborata e visivamente ricercatissima, tra tonalità di colore oniriche e quasi lisergiche, scenografie cangianti e arditamente accostate, un montaggio non lineare che confonde, volutamente, luoghi, tempi, ricordi e allucinazioni. La sovrabbondanza di materiale (soprattutto visivo) utilizzata dal regista rappresenta al contempo il lato più interessante e il limite di questa pellicola: l'impressione è che la scelta di confondere e rendere opaca la narrazione, seppellendola sotto il suo caleidoscopio di invenzioni visive, rappresenti spesso più un vezzo che una reale necessità espressiva. Così, l'insistenza sulla messa in immagini dei processi mentali del protagonista, e la voluta confusione dei piani di realtà, finisce per far perdere spesso di vista allo script (specie nella parte centrale) le necessità narrative più classiche, con alcuni passaggi obiettivamente poco credibili (tra questi, il modo in cui il personaggio della Dawson conquista la fiducia del ladro Franck).

In Trance, malgrado il suo indubbio fascino visivo (ma, parlando di Boyle, questo non dovrebbe forse più stupire) rimane così involuto, irrisolto nei suoi intenti da noir contemporaneo, espressione di contenuti genuinamente provocatori, che restano però solo a un livello di intuizione. Il senso ultimo della pellicola, una riflessione sull'avidità, sulla doppiezza della natura umana, sul carattere ambiguo della memoria e (soprattutto) sul riscatto in nero della figura femminile, resta sepolto sotto l'ipertrofico ego che il regista, in modo un po' compiaciuto e poco controllato, sembra voler esprimere. Un'asciuttezza maggiore nella messa in scena, senza comprometterne il fascino e i "marchi di fabbrica" (a livello di ritmo e montaggio) che sono ormai propri di Boyle, avrebbe probabilmente permesso di far emergere con maggior forza il cinismo e la lucida ricognizione sull'animo umano del soggetto, la sua anima nera sepolta sotto il caleidoscopio di colori che caratterizzano il film. Così come, probabilmente, sarebbero rimaste maggiormente impresse le buone prove attoriali dei tre protagonisti, a cominciare da una Dawson che conferisce forza, insieme a una carica di seducente ambiguità, a un personaggio che nel corso della trama subisce più di un'evoluzione. Allo stato attuale, questo In Trance lascia più la sensazione di aver assistito a qualcosa di inafferrabile (colto, appunto, in uno stato onirico o di ipnosi) che la soddisfazione cinefila di essere entrati in contatto, e di aver fatto proprio, un testo cinematografico con una sua consistenza.

Movieplayer.it

3.0/5