Recensione Il paese delle spose infelici (2011)

Tratto da un romanzo di Mario Desiati e diretto dall'esordiente Pippo Mezzapesa, Il paese delle spose infelici ha il pregio di rappresentare realisticamente, con uno stile scarno ma elegante, la vita di una piccola provincia del sud.

Un Veleno benefico

Anni '90, in un imprecisato paesino della provincia pugliese. Veleno ha 15 anni e una storia familiare diversa dai suoi amici: lui è figlio di un avvocato, ha una bella casa e i suoi genitori vivono una vita borghese, mentre Zazà, Cimasa, Capodiferro e Natuccio sono figli della strada, il cui asfalto mordono con i loro motorini, hanno famiglie di origini umili e a volte cattive frequentazioni. Come Zazà, il cui fratello è un piccolo spacciatore che a volte usa il fratello minore come corriere. L'amicizia tra i cinque, comunque, è forte e salda, cementata dalla comune militanza nella squadra di calcio locale, la Cosmica: ma Zazà, unico vero talento del gruppo, sogna che prima o poi un grande club si accorga di lui e lo porti via dallo squallore del paese. Un paese ferito dai rifiuti in strada, dall'inquinamento portato dalla fabbrica locale e dalla piccola criminalità, oltre che dalle invettive populiste di Vito Cicerone, politico locale in ascesa e candidato a sindaco. La vita dei cinque amici, comunque, subisce una scossa quando vedono Annalisa, una bellissima ragazza più grande di loro, tentare il suicidio gettandosi dalla cima della chiesa. Annalisa si salva da quel volo in abito da sposa, ma i cinque ragazzi iniziano a fantasticare su di lei. Chi è, da dove viene, e perché voleva farla finita? Maldestramente, Veleno e Zazà riescono ad avvicinarla, ma il contatto con lei non farà che aumentare gli enigmi su questa strana madonna che gioca con la morte...


Tratto da un romanzo di Mario Desiati, Il paese delle spose infelici ha il pregio di rappresentare realisticamente, con uno stile scarno ma elegante, la vita di una piccola provincia del sud. L'esordiente Pippo Mezzapesa, già premiato autore di cortometraggi e documentari, offre una rappresentazione asciutta, poco incline all'elegia, dell'adolescenza di cinque ragazzi cresciuti in un contesto urbano caratterizzato da squallore: l'amicizia che si instaura malgrado la differenza di condizione sociale, le corse dell'ingenuo Veleno in bicicletta, sempre col fiato corto per stare dietro ai ciclomotori dei suoi amici, cresciuti più in fretta di lui. E poi il calcio, gli allenamenti e le strigliate dell'allenatore Cenzoum, il sogno di Zazà di scappare via, di andare a Torino a giocare con la Juventus, nonostante il freddo del nord, perché, per usare le parole del ragazzino, "basta un cappotto". Un sogno che potrebbe iniziare a concretizzarsi, grazie a un provino offerto all'allenatore, se quella strada che ha già fatto sua la vita del fratello di Zazà non richiamasse con forza anche il ragazzino, con un vigore che è proprio solo dei legami di sangue: quasi una maledizione che preclude ogni via di fuga. Solo Annalisa sembra in grado di offrire una possibilità altra, il brivido della scoperta del sesso insieme all'eccitante enigmaticità della ragazza: ma dietro a quest'ultima, e dietro al suo fare nichilista, c'è forse un dolore ancora peggiore di quello di Zazà.

La regia di Mezzapesa si caratterizza per il suo crudo realismo, aiutato dalla recitazione dei ragazzi protagonisti, ma anche per alcune finezze piazzate nei punti giusti, a sottolineare i terminali estremi intorno ai quali il racconto si snoda: da una parte Zazà con la sua classe calcistica, spesso sottolineata con ralenty mirati, dall'altra Annalisa e la sua presunta voglia di morte, forse più una volontà di annullamento di sé. La tragedia sembra inevitabile per entrambi, ma forse proprio l'ingenuo Veleno potrebbe offrir loro una possibilità: non senza aver prima attraversato, a suo modo, quel processo di crescita che già è stato imposto ai suoi amici dalle circostanze. Col suo passo, e con altri esiti: la sequenza finale, così come l'intenso sguardo del protagonista Nicolas Orzella, sono in questo senso espliciti. Una conclusione che chiude il cerchio e che contribuisce a rendere Il paese delle spose infelici una pellicola interessante e problematica, un affresco umano a volte narrativamente disunito, poco compatto ed episodico come il vagare per le strade del paese dei suoi protagonisti; ma dalla forza espressiva e dalla lucidità di intenti innegabili.

Movieplayer.it

3.0/5