Recensione Gli amanti passeggeri (2013)

Bignami almodovariano, riconoscibile e accattivante, privo però di originalità e genuino divertimento.

Uomini a bordo di una crisi di nervi

Un aereo della compagnia Penìnsula è diretto da Madrid verso Città del Messico. Qualcosa però non va per il verso giusto, perché l'intero equipaggio è terrorizzato. Il carrello mal funzionante, infatti, rende impossibile la trasvolata e soprattutto l'atterraggio. Completamente presi dall'amore per i piloti Benito e Alex, gli steward Joserra, Fajas e Ulloa, mantengono (quasi) il riserbo più assoluto nei confronti dei passeggeri; tra questi una coppia di sposi novelli, Ricardo, un celebre attore che ha qualche problema sentimentale da risolvere (una ex tenta di buttarsi dal ponte, l'altra cerca di dimenticarlo in tutti i modi), Norma, la regina del bondage e Infante, il sicario assoldato per ucciderla, il Dottor Màs, un manager implicato nel fallimento di svariate società, e Bruna, vergine sensitiva convinta, a ragione, che durante quel viaggio le succederà qualcosa di grosso. Complice un sonnifero che addormenta tutta l'Economy e un'abbondante dose di mescalina versata nei drink offerti ai passeggeri della Business, il tragitto si rivela rischioso ma non troppo.


Irriverente, anarchico, scandaloso, Pedro Almodòvar torna a furor di popolo a dirigere una commedia dopo aver esplorato gli abissi dell'animo umano, districandosi tra melodramma e noir. Campione d'incassi in Spagna, il suo ultimo film, Gli amanti passeggeri, è pervaso da un incontrollabile furore erotico, una sorta di delirio organizzato, unico antidoto possibile per il cineasta alla paura della morte, al terrore del vuoto che circonda questo gruppo di 'naufraghi' senza patria. Dici commedia e subito pensi ad un cronometrico gioco di incastri che dovrebbe nutrirsi della paradossalità delle circostanze più illogiche e burlarsi delle umane miserie, magari regalando qualche sorriso, pur se amaro. Gli amanti passeggeri è invece una pellicola che diverte poco, che poche novità regala agli spettatori e, quel che è peggio, che sembra avere ancora meno da dire. Che il confusionario e caleidoscopico mondo del regista della Mancha sia diventato ormai il suo universo, la sua matrice, è evidente, ma in questo caso rischia di essere il pretesto per una sterile ripetizione dei suoi stilemi. Il film è multicolore e grottesco, come ci si aspetta da una pellicola di Almodòvar, ma non riesce a trascinare come ci si poteva immaginare; non basta al regista spagnolo il ritorno al passato, ai fasti degli albori, a quella iperrealistica ed esagerata joie de vivre, esibita ad ogni pie' sospinto, per offrire al pubblico uno spettacolo godibile. Speculare ad uno dei classici dello spagnolo, Donne sull'orlo di una crisi di nervi, dove però c'era una sola storia centrale e altri intrecci che ad essa confluivano, l'opera di Almodòvar ne ripropone di netto tutte le situazioni più bizzarre: il drink drogato (sonnifero e mescalina, pari sono), le donne con istinti suicidi, i bagagli che devono essere riportati ai legittimi proprietari, le vergini che finalmente fanno crollare le mura di Gerico e, naturalmente, l'aereo, non più diretto a Stoccolma e sotto assedio di presunti terroristi sciiti, ma semplicemente colpito da avaria.

Sarebbe stata vincente l'idea di racchiudere in un unico spazio l'intero svolgimento della storia, obbligando i personaggi a comunicare in altra maniera, meno 'virtuale' di Twitter, e per certi versi lo è; fino a quando (pochissime volte) Almodòvar resta nei confini e nei ritmi della pochade, riesce da par suo a scardinare ogni tipo di meccanismo narrativo, amplificando ogni mossa dei protagonisti, sfruttando bene i tempi delle battute e la totale assurdità delle circostanze. Poi, qualcosa si inceppa nello schema; non gli rimproveriamo certo alcune scivolate di cattivo gusto, non può essere questo il metro di giudizio su un autore che dell'originale elaborazione del kitsch ha fatto la sua identità artistica, quanto per assurdo la mancanza di brio, o meglio l'incapacità di tenere sempre accordate le pur bislacche armonie. Se la parte più divertente è (solo) il terzetto di steward che canta in playback I'm so excited, qualcosa non deve aver funzionato nel modo giusto e a parer nostro succede perché Pedrito si è accontentato di somigliare a se stesso. 'Scandalizzare' però non è più così facile oggi, scandalizzare sul serio intendiamo, proponendo qualcosa di più spiazzante di un'orgia alla mescalina ad alta quota.
La sensazione è che Almodòvar abbia voluto rischiare poco e, a dispetto di un'ambientazione pericolosa, abbia deciso di giocare in casa. Chiamati a raccolta gli attori feticcio, Antonio Banderas e Penelope Cruz, protagonisti di un cameo, arruolati Cecilia Roth, Javier Càmara e Blanca Suàrez, rimastica e ripropone i concetti cardine della sua poetica: l'amore omosessuale, la totale follia del rapporto uomo-donna, una certa dose di pop anni '80 (non è forse Norma a sostenere che l'acqua di Valenza fosse il simbolo di quell'epoca?). Ecco che il film si propone come una sorta di Bignami almodòvariano, riconoscibile e accattivante nell'impeccabile e coloratissima confezione. Cosa manca? Manca il qualcosa da dire e più di tutto un genuino divertimento. Frullato di Flight, L'aereo più pazzo del mondo (con tanto di citazione dello schiaffo dato per calmare la crisi isterica di una passeggera) e Pan Am, Gli amanti passeggeri accumula temi e spreca occasioni; nemmeno il terrore della morte si rivela quel formidabile detonatore che avrebbe potuto essere, visto che si trasforma ben presto in una semplice scappatoia per liberare gli 'istinti' più inconfessati. Più interessante allora la riflessione su una nazione in crisi, la sua, costretta come l'aereo a girare in tondo e ad accontentarsi di un atterraggio di fortuna, senza avere la possibilità di arrivare a destinazione. Tutto questo mentre in economica si dorme e in business ci si dà alla pazza gioia.

Movieplayer.it

2.0/5