Recensione Fuga di cervelli (2013)

Fuga di cervelli manca di una sua identità e a tratti si trasforma in un'operazione demenziale pesante da digerire, guidata da un comico emergente che in mancanza di mani esperte dietro la macchina da presa si perde nella vacuità delle proprie battute.

Fuga di idee

C'era una volta un cieco di nome Alfredo (Paolo Ruffini), spacciatore di acidi, ghiaccioli al limone e grande maneggione di computer soprannominato Lebowsky (Guglielmo Scilla), un gay non dichiarato di nome Franco (Frank Matano), l'intellettualoide demenziale del gruppo, un paralitico fissato sol sesso soprannominato Alonso (Andrea Pisani) per la velocità nel guidare la sua sedia a rotelle, e poi c'è lo sfigato per antonomasia Emilio (Luca Peracino) che da sempre è segretamente innamorato di Nadia, una bionda mozzafiato che sta per lasciare la Facoltà di Medicina per andare a Oxford. I suoi quattro migliori amici lo convincono del fatto che è troppo giovane per rinunciare al suo sogno d'amore e decidono di falsificare i documenti scolastici e partire tutti insieme alla volta di Oxford.


"La tv vive di cinema, ma il cinema muore di tv" ha detto una volta Dino Risi. Quanta verità dietro la frase del maestro, e quanto questo Fuga di cervelli è la riprova di questa insindacabile perla di saggezza. Certo, ci sono state delle eccezioni, vedi Leonardo Pieraccioni, Ficarra e Picone, Enrico Brignano, Aldo, Giovanni e Giacomo, vedi Checco Zalone e vedi Claudio Bisio; ma dietro a questi nomi si nascondeva e si nasconde tuttora un talento puro, una comicità brillante che sa farsi seria al momento giusto, una carica di simpatia e popolarità capaci da sole di sorreggere anche la più sciocca delle battute. Il cinema è una cosa seria, come il talento, ed entrambi vanno tutelati e supportati, soprattutto in un momento difficile come quello che stiamo vivendo in Italia. Qualche esempio pratico è rappresentato dagli autori italiani che si sono messi in luce, a fatica e con anni di durissimo lavoro alle spalle, nelle ultime edizioni dei due principali festival internazionali che si sono svolti nel nostro Paese, ci riferiamo a Gianfranco Rosi, Guido Lombardi, Alberto Fasulo, i fratelli Antonio e Marco Manetti ed Emma Dante. Detto questo la domanda nasce spontanea: era davvero necessario produrre un film come questo Fuga di cervelli in questo momento storico in cui il cinema italiano ha bisogno di dar voce alle nuove idee e di una forte spinta per poter ripartire? La risposta come sempre è affidata al botteghino, ma da parte nostra non possiamo ignorare il fatto che siamo di fronte forse al peggior film dell'anno.

Senza idee, triviale all'ennesima potenza, senza guizzi narrativi e senza il supporto di attori di talento capaci di catturare l'attenzione di chi guarda, questo Fuga di cervelli è l'opera prima da regista del toscanaccio dei cinepanettoni e di Colorado Cafè Paolo Ruffini, che per l'occasione chiama a raccolta un gruppo di giovani comici lanciati dal format cabarrettistico, i più gettonati sulla rete e meno dotati dal punto di vista della comicità, li raggruppa in una sorta di 'gruppo di studio' e li spedisce a Oxford per un college movie all'italiana che, oltre ad omaggiare il film spagnolo a cui si ispira e cioè Fuga de cerebros, celebra i Porky's e gli American Pie e si diverte (senza divertire il pubblico) a citare capolavori come Animal House, Non guardarmi, non ti sento e Il grande Lebowski. La risata latita, le battute di bassa lega abbondano, le gag 'sessuali' sono a dir poco imbarazzanti ma ancor più imbarazzante è la voglia di spacciare il film per qualcosa che non è, con l'inserimento, verso il finale, del messaggio buonista sull'amicizia e l'elemento sentimentaloide che punta ad esaltare una dolcezza d'animo dei protagonisti che fino a quel momento, francamente, ci era del tutto sfuggita. Fuga di cervelli manca di una sua identità e a tratti si trasforma in un'operazione demenziale pesante da digerire, guidata da un comico emergente, perché Ruffini questo è, che in mancanza di mani esperte dietro la macchina da presa si perde nell'immensa vacuità delle proprie battute.

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1.0/5