Recensione Fin (2012)

L'esordio alla regia dello spagnolo Jorge Torregrossa tratta un tema come quello dell'apocalisse intrecciandolo con una riflessione sulla solitudine come causa della dissoluzione.

Da soli, alla fine.

Un gruppo di amici di vecchia data si ritrova nella casa di montagna di uno di loro, per accendere un falò nei boschi e ricordare insieme i vecchi tempi. Gli amici, tra i quali ci sono Felix e Hugo con le loro rispettive fidanzate, si salutano calorosamente, il clima è inizialmente rilassato. Sulla rimpatriata pesa, tuttavia, l'incognita della presenza o meno di un membro del gruppo soprannominato il Profeta, un ragazzo solitario che è stato protagonista, in passato, di un episodio di cui nessuno vuole parlare. L'insistenza da parte di Sara sull'attesa dell'amico, che gli altri invece non vogliono vedere, porta l'atmosfera ad incrinarsi: proprio durante una tesa discussione, il gruppo sente improvvisamente uno schianto e vede il cielo notturno illuminarsi a giorno. Il misterioso evento provoca un blackout totale e il mancato funzionamento delle automobili, così come dei cellulari e di qualsiasi apparecchio elettrico. Inquieti, i membri del gruppo vanno a dormire, solo per scoprire, la mattina dopo, che uno di loro li ha abbandonati. Stupiti, si recano nello chalet vicino, ma gli occupanti sembrano anche loro scomparsi. Mentre gli amici si mettono in marcia per la cittadina più vicina, in cerca di una spiegazione degli eventi, le stranezze si moltiplicano: non si vedono presenze umane, gli animali si comportano in modo strano e aggressivo, ma soprattutto gli stessi membri del gruppo, appena si allontanano dagli altri, iniziano misteriosamente, uno a uno, a scomparire. Gli uomini iniziano ad intuire che una qualche forza misteriosa è all'opera, e che forse gli eventi di cui sono testimoni hanno un'estensione più ampia di quanto pensavano.

Ha ricevuto pareri contrastanti, questo Fin, opera prima dello spagnolo Jorge Torregrossa già presentata all'ultimo Torino Film Festival, e ora tra i titoli di punta dell'attuale edizione del Bruxelles International Fantastic Film Festival. Del film di Torregrossa, in effetti, non si può certo dire che tratti un tema nuovo, o che i suoi referenti cinematografici siano nascosti. L'apocalisse, d'altronde, al cinema è tornata recentemente di moda, producendo una serie di opere dal taglio molto vario: da blockbuster d'autore quali E venne il giorno a opere più personali come il tanto discusso Melancholia di Lars Von Trier. Proprio con questi due titoli, in effetti, l'esordio del regista spagnolo condivide alcune caratteristiche: col primo, l'ambientazione rurale e il focus sui legami personali come "antidoto" alla dissoluzione, col secondo la sovrapposizione tra la fine imminente e la venuta in luce di crisi nascoste tra i protagonisti, che gli eventi finiscono per mettere in evidenza. Ma il riferimento forse più vicino per l'esordio di Torregrossa, per temi, sensibilità e finanche svolgimento, è l'horror nipponico Kairo di Kiyoshi Kurosawa: analoghe le premesse ideali (la solitudine che porta l'uomo ad isolarsi e a scomparire lentamente) analoghe le implicazioni filosofiche, estremamente simili persino (al punto di destare anche qualche sospetto) parte degli sviluppi. Fin, tuttavia, sceglie di non dare una spiegazione precisa agli eventi che coinvolgono i protagonisti, lasciando accumulare inquietanti particolari e dettagli che restano enigmatici, e limitandosi a segnalare, in modo inequivocabile, la natura irreversibile di ciò che vediamo accadere.
La pellicola del regista spagnolo (per una volta, il termine "pellicola" non è usato a sproposito, visto l'utilizzo ormai sempre più raro del 35mm) si caratterizza in effetti per la natura inesplicabile di ciò che mostra sullo schermo, segnando con questo la differenza più importante con gli esempi su citati. La natura dell'esplosione che ha dato inizio agli eventi, la modalità con cui le sparizioni si verificano, il comportamento degli animali, i disegni dell'amico Profeta: tutto resta sospeso in un inquietante limbo di incertezza, che la sceneggiatura prolunga fino alla fine della pellicola. Interessante è il contrasto tra l'ambientazione diurna, con gli elementi naturali sempre in primo piano, e la profonda inquietudine generata dalla vicenda: la fotografia solare aumenta ancor più il senso di isolamento dei protagonisti, uniche presenze umane in una natura apparentemente indifferente. Si rivelano riuscite, a questo proposito, anche alcune scelte visive e di regia, prime tra tutte le due sparizioni che vengono (in parte) mostrate: nella prima, in particolare, troviamo un interessante utilizzo della luce solare, a segnare proprio il totale rovesciamento di senso di tale elemento. Il messaggio del film, la tesi che porta avanti, è del tutto evidente, pur nella sua semplicità: è la solitudine, e l'allontanamento (non solo fisico) dagli altri, a portare le persone a chiudersi in se stesse e dissolversi. Per una società caratterizzata da una sempre maggiore atomizzazione, e dalla perdita di legami stabili, il destino sembra segnato. Che a dare inizio al tutto sia stato un meteorite, un'invasione aliena, o una qualche altra misteriosa forza, la vera causa sembra ancora una volta l'atteggiamento dell'uomo: auto-condannatosi alla solitudine e ad una lenta dissoluzione, priva di un lascito di qualche valore, priva di tracce (positive) che ne giustifichino il passaggio.

Movieplayer.it

3.0/5