Recensione Captain Phillips - Attacco in mare aperto (2013)

In puro stile Paul Greengrass, Captain Phillips è un blockbuster altamente spettacolare ed intelligente, che coniuga intrattenimento ad alto livello con riflessioni politiche e sociali. Tensione alle stelle per quasi tutta la durata, una regia frenetica con primi piani strettissimi, asciutto ed essenziale nello stile, il film ha il merito di restituirci un Tom Hanks in grandissima forma..

Capitan Tom Hanks e i pirati

Tra cinema e documentario, questo il marchio di fabbrica di Paul Greengrass, regista inglese del Surrey classe 1955, ex documentarista che oggi a tutti gli effetti può essere considerato un autore in senso stretto, capace di un cinema che coniuga intrattenimento di alto livello a impegno sociale e politico. Uno dei pochi in grado di sfornare i cosiddetti blockbuster di qualità, capaci di mettere d'accordo sia la critica che il pubblico. Da un punto di vista squisitamente registico, oltretutto dotato di uno stile immediatamente riconoscibile sin dai primi fotogrammi, caratteristica anche questa tipica di una ristretta cerchia di autori la cui mano è chiaramente distinguibile dietro un solo movimento della cinepresa (Steven Soderbergh, Michael Mann, Brian De Palma) e che ci fa capire subito che stiamo vedendo un film di Paul Greengrass: movimenti di macchina rapidi, montaggio frenetico, l'uso costante e nervoso della macchina a mano che dona autenticità da documentario a una messa in scena attenta e scrupolosa, e proietta lo spettatore in prima persona nel bel mezzo dell'azione.


Sin dai tempi di Bloody Sunday, dove affrontava la questione irlandese raccontando la domenica di sangue avvenuta a Derry nel 1972 in Irlanda del Nord, fino all'ultimo Green Zone con Matt Damon, ambientato durante la guerra in Iraq e anch'esso adattato da una storia vera, il cineasta britannico ha da sempre mostrato un interesse particolare per il materiale di cronaca dai temi impegnati e dai forti risvolti politici e sociali. Anche nei suoi excursus nell'intrattenimento puro con i due capitoli della saga di Jason Bourne da lui diretti, non è mai comunque venuto meno all'approccio secco, asciutto e anti retorico che lo contraddistingue. "Andare in giro per il mondo a cercare storie vere da raccontare, perché sono più eccitanti di qualsiasi finzione", la sua filosofia rimane intatta, sin dai suoi esordi come documentarista nel programma World in Action, dove erano dei registi e non i giornalisti ad effettuare i reportage di cronaca. In questo senso il film della consacrazione è stato proprio quello United 93 dove raccontava del tragico omonimo volo avvenuto l'11 Settembre 2001 e che gli è valso la candidatura all'Oscar, film al quale viene naturale l'accostamento e il paragone con questo Captain Phillips - Attacco in mare aperto. Anche questo tratto da una storia vera, in particolare dal libro di memorie del Capitano Richard Phillips, A Captain's Duty: Somali Pirates, Navy SEALs and Dangerous Days at Sea, che racconta del dirottamento della nave mercantile USA Maersk Alabama avvenuto nel 2009 al largo del corno d'Africa da parte di un gruppo di quattro pirati somali.

Con United 93, trasferendosi dall'aria all'acqua, questo Captain Phillips condivide la struttura, la tensione costante e la carica ansiogena: soprattutto nel caso di United 93, nonostante l'esito fosse tragicamente noto, Greengrass risulta talmente abile nel mantenere alti la tensione e il pathos, che fino all'ultimo si ha l'illusione e la speranza che le sorti possano in qualche modo cambiare. Anche in quest'ultimo lavoro la sorte del protagonista benché nota, sembra essere in bilico fino alla fine, e anche se in maniera meno serrata, il livello della tensione é quasi sempre costante, con qualche lunga pausa che all'epilogo appare comunque giustificata. Primi piani strettissimi, febbrili movimenti di macchina nei momenti di azione più concitata, il film garantisce sicuramente un intrattenimento di alto livello. Sceneggiata dal versatile Billy Ray (Flightplan, Breach, ma anche Hunger Games), la storia si divide in effetti in tre parti ben distinte: l'assalto alla nave da parte dei pirati, che rappresenta solo un lungo e ineccepibile, dal punto di visto del ritmo e della regia, prologo da cardiopalma, una lunghissima, spossante e claustrofobica parte centrale, con la cattività del capitano rapito a bordo della scialuppa, fino al serrato e fulmineo epilogo con l'entrata in scena delle navi da guerra americane e dei navy SEALs. Soprattutto il cuore del film nella sua parte centrale e rappresentato dallo scontro verbale e psicologico tra i due capitani, Richard Phillips, pragmatico comandante della Maersk Alabama, né eroe né antieroe, espressione della fiducia occidentale nelle procedure e nella cavalleria che presto o tardi arriverà (un Tom Hanks di nuovo ad altissimi livelli), e il rabbioso e determinato Muse (interpretato dall'esordiente Barkhad Abdi), capo dei pirati, disperato e irriducibile nella sua incrollabile determinazione e nel suo destino già segnato. Il loro incontro scontro, non esente da una reciproca quanto inutile comprensione, rappresenta su scala più ampia quello tra due mondi e due culture, il cammino dei più poveri e dei più ricchi che si interseca sotto l'incombere di un'economia mondiale fuori controllo, lasciando spazio, attraverso un prodotto di puro intrattenimento e azione, ad un ampio e non trascurabile sottotesto che riflette sugli effetti della globalizzazione.

Come detto, nella parte centrale del film la tensione non riesce ad essere costante, la prigionia del capitano nella scialuppa è lunga e claustrofobica, tra urla, minacce, percosse e pistole puntate alla testa, porta quasi allo sfinimento non solo Phillips ma anche lo spettatore, al punto che ci si comincia ad augurare che qualcuno la faccia finita in qualche modo. I SEALs ci mettono un po' tra procedure e protocolli, ma alla fine fanno un figurone: il divario tra i mondi è incolmabile, non c'è spazio per dialogo, buon senso e redenzione, nonostante l'astuzia del capitano, ci vogliono addirittura le portaerei (nota bene, per riportare a casa un solo uomo, united we stand). Dicevamo un quasi logorio dello spettatore che all'epilogo appare sorprendentemente giustificato, perché alla fine ci si accorge che l'empatia con Phillips è diventata più profonda di quanto ci aspettassimo: quando assistiamo all'intensissimo e liberatorio crollo nervoso finale col quale Tom Hanks prenota il suo terzo Oscar, la tensione si scioglie e piangiamo anche noi con lui più provati di quanto pensassimo.

Movieplayer.it

4.0/5