Recensione Blood (2012)

A Nick Murphy non interessa alimentare la suspence o il mistero perché peferisce focalizzarsi sulle reazioni dei suoi protagonisti, scandagliarne il dramma interiore, mostrarne la lacerazione per aver infranto le regole e il parossistico timore di essere scoperti.

L'acqua che lava i peccati

Blood contiene tutti i cliché che ci si attenderebbe da un thriller poliziesco. Il film, diretto dal volonteroso Nick Murphy, compensa la mancanza di originalità facendosi scudo dietro i suoi punti di forza: un'ambientazione incredibilmente suggestiva e un pugno di interpreti di talento. Paul Bettany, Mark Strong, Stephen Graham e Brian Cox rappresentano una garanzia indipendentemente dalla qualità delle opere in cui sono chiamati a recitare e Murphy, meno ispirato del solito (ricordiamo che sua è la regia dell'ottima miniserie Occupation), si rifugia nel mestiere costruendo una pellicola solida, ma prevedibile e priva di guizzi.


I comportamenti e la psiche dei personaggi di Blood trovano giustificazione nell'universo fatto di regole, leggi e senso del dovere della polizia, un po' come accade in End of Watch - Tolleranza zero, per citare un esempio recente, ma qui manca il vigore del corrispettivo americano. I due protagonisti, i fratelli Joe e Chrissie Fairburn, sono detective in forza a un distretto di polizia nel cuore dell'Inghilterra, nei paraggi della lunare Hilbre Island (a pochi chilometri dalla casa natale del regista). Il loro padre (Brian Cox) è l'ex capo della polizia, noto per i suoi metodi brutali ma efficaci, ormai in pensione dopo essere stato colpito da demenza senile. Il modello paterno, per i due detective, diviene lo spettro con cui confrontarsi, il metro di paragone che condiziona le loro esistenze facendo emergere debolezze e fragilità. La famiglia è il luogo in cui ha origine ogni pulsione e al suo interno si genera quella spinta rabbiosa che spinge Joe, a sua volta padre e marito, a farsi giustizia da solo contro un sospetto accusato dell'omicidio di un'adolescente, coinvolgendo nel crimine anche il fratello.

Per atmosfera e temi trattati, Blood è stato accostato a Mystic River di Clint Eastwood, ma il thriller di Nick Murphy rinuncia fin da subito a un ingrediente essenziale di cui il noir eastwoodiano si alimenta: l'ambiguità. Murphy scopre le carte poco dopo l'inizio del film informando lo spettatore della dinamica dei fatti di sangue attorno a cui si indaga. Al regista non interessa alimentare la suspence o il mistero perché peferisce focalizzarsi sulle reazioni dei suoi protagonisti, scandagliarne il dramma interiore, mostrarne la lacerazione per aver infranto le regole e il parossistico timore di essere scoperti. La dimensione noir lascia ben presto posto al thriller psicologico vero e proprio caricando tutta la responsabilità dell'esito della pellicola sulle spalle di Paul Bettany e Stephen Graham. I due attori fanno del loro meglio arricchendo con le loro solide interpretazioni una sceneggiatura che cade spesso nello stereotipo.

Finale prevedibile, ma impreziosito della bellezza di una location magica, Hilbre Island, soggetta all'andamento delle maree e separata dalla terraferma per lunghi periodi di tempo. Questo paesaggio lunare, immortalato dalla bellissima fotografia di George Richmond, connota uno spazio atemporale in cui dimora una comunità isolata e protettiva. Un purgatorio sospeso, separato dal resto del mondo, in cui si consuma una battaglia tra giustizia e onore, tra senso di colpa, verità e menzogna.

Movieplayer.it

3.0/5