Pippo Delbono e il suo mondo struggente fatto di Amore Carne

L'attore e regista presenta la sua ultima fatica artistica e personale, finalmente in sala a due anni dalla sua presentazione alla Mostra del cinema di Venezia

"Esiste un continente del visivo in cui le personale più interessanti sono quelle che si prendono il rischio di sbagliare. Per questo motivo un artista come Pippo Delbono va distinto da altri gruppi di artisti. Ed io sono rimasto sorpreso da ogni singola cosa creata da lui". A parlare è Marco Müller che, dopo aver accolto Amore Carne nella sezione Orizzonti della sua ultima Mostra di Venezia, oggi lo presenta alla stampa in occasione dell'uscita prevista il 27 giugno in contemporanea in Italia e in Francia. A raccogliere la sfida di una distribuzione artistica e, quindi, non commerciale, è la Tucker Film, spinta dalla volontà di dare visibilità ad un cinema fuori dai canoni volto alla sperimentazione linguistica e visiva. Perché Amore Carne, come altri progetti realizzati da Delbono fuori e sul palcoscenico, hanno cercato di sfidare lo spettatore stimolandolo ad un muovo concetto di narrazione. "Nel teatro siamo riusciti a creare degli spazi importanti in cui è possibile mettere in pratica una sperimentazione fuori dalle regole. A questo punto, però, mi chiedo per quale motivo non si possa fare anche con il cinema - dichiara Il regista - Spesso mi viene fatto notare che io non faccio un cinema catalogabile all'interno di un genere e non avete idea di quanto questo mi renda felice e orgoglioso".

Così, sovvertendo qualsiasi canone estetico e narrativo, Amore Carne si presenta come un viaggio intimo che, attraverso l'uso del telefonino e di una piccola telecamera, si avvicina alla sostanza delle cose senza timore di chiamare i sentimenti con il loro nome. La struttura è quella di un viaggio in soggettiva che, attraverso l'addio a Pina Bausch, l'incontro con Tilda Swinton e Marisa Berenson concede al regista la libertà di raccontare ogni cosa su se stesso, spietato e senza alcun indugio anche sulla sua sieropositività, l'essere gay e, soprattutto, il non riconoscersi come cattolico. Un film, dunque, inevitabilmente intenso che definisce il cinema un mezzo non esclusivamente d'intrattenimento. "Vedete, in un posto addormentato come il nostro porsi delle domande è un'attività fondamentale che anche il cinema ha il dovere di sostenere - continua un sempre più infervorato Delbono - Viviamo in un paese in cui un personaggio come Berlusconi continua ad avere un palcoscenico da cui parlare e che ha applaudito l'arrivo di Grillo. Il fatto è che abbiamo ancora bisogno di un fantoccio affacciato ad un balcone, sia esso un politico o un rappresentate religioso. E la necessità di credere a qualche cosa al di fuori di noi stessi, non fa altro che mostrare tutta l'insicurezza e l'ignoranza di un paese. Qui non nasce più nulla. Abbiamo perso il senso critico e la follia".

La scintilla artistica di questo film, però, è stata colta dalla distribuzione Tucker Film, tanto avventurosa da riuscire a portarlo in sala senza preoccuparsi troppo dei numeri del box office e del tanto temuto primo week end. Un atteggiamento che Delbono ha abbracciato completamente e che, senza mezzi termini, lo hanno portato a dire la sua su un panorama italiano troppo impaurito dalla sperimentazione e dal nuovo. " Molti dei problemi attuali del nostro cinema sono da attribuite alla fase produttiva. Se guardiamo al passato, comprendiamo perfettamente come il grande cinema sia nato grazie alle scelte di gente illuminata. Produttori che permettevano agli artisti di sperimentare la loro follia e di accompagnarli senza interferire. Io non ho alcuna idea di quello che accadrà per questo film e di cosa riusciremo ad ottenere. Intanto iniziamo questo viaggio senza preoccuparci degli incassi. L'importante è capire che, attraverso l'utilizzo di nuove tecnologie, si offrire uno sguardo nuovo non solamente ai 100 autori ma, soprattutto a quelli che arrivano dal mare, a chi il nostro paese lo vede per la prima volto da un gommone o lo vive nei campi rom".