Recensione La fuga di Martha (2011)

Un thriller che fin dalle prime scene è un crescendo di tensione e che alterna due differenti linee temporali, spesso non immediatamente distinguibili, così da avvicinarci alla sensazione di disagio e paranoia vissuta dalla protagonista, la brava Elizabeth Olsen.

Paranoia da culto

Dopo aver vinto il premio per il miglior regista allo scorso Sundance, La fuga di Martha (in originale Martha Marcy May Marlene) approda anche a Cannes nella sezione Un Certain Regard e riesce a stupire nonostante le aspettative già altissime non solo per l'ottimo lavoro dell'esordiente T. Sean Durkin ma anche per la prova di Elizabeth Olsen, sorella minore delle più celebri gemelle, anche lei al primo ruolo di rilievo. Si tratta di un thriller che fin dalle prime scene è un crescendo di tensione e che alterna due differenti linee temporali, passato e presente, spesso non immediatamente distinguibili, così da avvicinarci alla sensazione di disagio e paranoia vissuta dalla protagonista.


La povera Martha è infatti una ragazza appena ventenne che torna a farsi viva presso la sorella più grande Lucy (Sarah Paulson) dopo che per due anni non ha dato nessuna notizia di sé: Lucy nel frattempo si è sposata con Ted (Hugh Dancy) ed è andata avanti con la sua vita, ma è talmente felice di rivedere la sorellina (verso la quale ha un evidente senso di colpa) che si accontenta delle poche ed ermetiche risposte che riceve e non si preoccupa di quello che può essere avvenuto in questi lunghi mesi di assenza. Per Martha invece è ben più difficile dimenticare, visto che proviene da una lunga permanenza in una vera e propria setta in cui giovani donne e uomini seguono i dettami di un uomo senza scrupoli di nome Patrick che fa a tutti loro da padre spirituale (un inquietante John Hawkes, al secondo successo Sundance consecutivo, dopo Un gelido inverno dello scorso anno).

Con i ricordi che pian piano incominciano ad affiorare nella mente di Martha, sale l'inquietudine nelle persone che sono al suo fianco ma anche presso gli spettatori sempre più risucchiati in un vortice affascinante di immagini, sensazioni e paure che convergono in un finale che lascia poca speranza, soprattutto per l'evidente incapacità da parte di Martha di reagire, ancora persa in quel labirinto di nomi, regole, responsabilità lasciatole dal lavaggio di cervello subito in tanti mesi: Martha, Marcy May, Marlene; madre, amante, sorella, figlia; leader, guida, vittima; forte e fragile, sana e pazza al tempo stesso; il personaggio interpretato dalla Olsen riesce ad essere tutto questo in un film che ha però un'unica grande protagonista, la paranoia, raramente illustrata tanto bene sul grande schermo.

Movieplayer.it

4.0/5