Recensione Hunger Games (2012)

Hunger Games si rivela un'opera solida e riuscita grazie a due ingredienti essenziali: le perfomance del cast, in particolare della protagonista Jennifer Lawrence, una delle attrici più talentuose della nuova generazione hollywoodiana, e la regia di Gary Ross.

Mietitura di sangue

Coniugare qualità e incassi stratosferici è ambizione di molti blockbuster, ma pochi riescono a ottenere il plauso della critica. Nel mondo dei comics i 'supereroi con problemi' di Sam Raimi da un lato, gli universi gotici e cupissimi di Tim Burton e Christopher Nolan in cui si muovono eroi dal cuore oscuro quanto quello dei loro nemici dall'altro, hanno sdoganato il genere superomistico in un processo che ha raggiunto l'apice col bellissimo - e redditizio - Il cavaliere oscuro. Peggio è andata finora alle nebulose creazioni che ruotano attorno alla letteratura young adult, genere da noi poco praticato, ma che negli Usa vanta un'ampia fetta di mercato. Romanzi che vedono protagonisti adolescenti e mescolano mondi fantastici con storie romantiche si traducono spesso in franchise stilisticamente sciatti o narrativamente improbabili che attirano stroncature e sbeffeggi nonostante l'accoglienza isterica del giovane pubblico a ogni nuova uscita. Hunger Games rappresenta una felice eccezione. Il film, adattamento del primo capitolo della trilogia di romanzi di Suzanne Collins, si rivela un'opera solida e riuscita grazie a due ingredienti essenziali: le perfomance del cast, in particolare della protagonista Jennifer Lawrence, una delle attrici più talentuose della nuova generazione hollywoodiana, e la regia di Gary Ross.


Fin dalle prime immagini capiamo di trovarci di fronte a qualcosa di diverso dai blockbuster adolescenziali a cui siamo avvezzi. Una macchina da presa nervosa e mobilissima avanza in un universo rurale e selvaggio che somiglia all'America desolata in piena Depressione di Furore, ma in realtà è una versione post-apocalittica degli USA chiamata Panem, dove la popolazione vive reclusa in 12 distretti che forniscono cibo, schiavi e materie prime alla Capitale ipertecnologica e modaiola. Gary Ross adotta uno stile ruvido, aspro, un montaggio secco e veloce, addirittura concitato nelle numerose scene d'azione dove i dettagli di corpi in movimento, muscoli tesi e armi spianate si alternano ai primissimi piani intenti a esplorare il volto degli attori, ma non teme di spezzare la tensione contrapponendovi lunghe pause riflessive. Il regista ha la lucidità di intuire che è necessario prendere le distanze dalle saghe patinate che lo hanno preceduto e crea uno stile visivo ad hoc per la materia narrata, tra l'altro assai diverso da ciò che ha prodotto finora. Il risultato è una pellicola avvincente, dal ritmo anomalo, che cattura l'attenzione fin dall'incipit, il quale ricalca fedelmente l'apertura del romanzo catapultandoci in una caccia nei boschi proibiti del Distretto 12. Una delle scene più riuscite del film, e più rappresentative delle scelte autoriali, si colloca subito dopo: si tratta della Mietitura, la cerimonia pubblica durante la quale ogni anno vengono sorteggiati i nomi di due adolescenti, un maschio e una femmina, per distretto. I prescelti dovranno misurarsi negli Hunger Games, competizione mortale/reality dell'orrore trasmesso in diretta tv in tutto il paese. Potenza visiva e drammaticità si consumano nella grigia piazza di Panem, sotto un sole accecante che illumina il palco di legno su cui si muove Elizabeth Banks, trasformata per l'occasione nella presentatrice della cerimonia Effie Brest, clown dal volto cereo e dalle parrucche variopinte che annuncia con eccessivo entusiasmo i nomi dei futuri cadaveri mentre Katniss, la protagonista, si offre volontaria per sostituire la sorellina appena sorteggiata.

La stessa struttura narrativa si dimostra particolarmente solida grazie alle scelte compiute nell'adattamento del romanzo, anzi, questo è uno di quei rari casi in cui il film risulta più incisivo del libro. Ross, insieme a Billy Ray e alla stessa Collins, asciuga il testo eliminando vezzi e ingenuità. La sottrazione giova al risultato finale grazie anche al lavoro degli interpreti, capaci di esprimere una gamma di sentimenti ed emozioni quasi esclusivamente attraverso l'uso del corpo e dello sguardo, vista l'essenzialità dei dialoghi ridotti all'osso. Tutto ruota intorno a Katniss, la ragazza di fuoco, eroina appassionata, forte e fragile al tempo stesso, dotata di coraggio e forte senso morale. La dimensione romance è ancora uno degli ingredienti essenziali della storia, ma rispetto al peso assunto nel romanzo Gary Ross opta per l'ambiguità evitando di approfondire la dinamica sentimentale che si instaura tra Katniss, il compagno di Hunger Games Peeta e l'amico fraterno Gale. Il regista lavora sul non detto, lasciando il pubblico intento a chiedersi se quello nato di fronte alle telecamere - quelle diegetiche del reality e quelle reali - sia vero amore o semplice strategia per sopravvivere nell'Arena.

Lo snellimento narrativo consente, inoltre, a Ross di concentrarsi sull'aspetto che sembra stargli realmente a cuore: la dimensione politica. Dietro l'etichetta 'young', la trilogia Hunger Games denuncia chiaramente i modelli a cui si ispira: l'Orwell di 1984, Fahrenheit 451 e Brazil. Anche qui troviamo un Grande Fratello che tutto sa e tutto controlla. Il presidente Snow (Donald Sutherland) è un dittatore moderno che ama le rose, ma non esita a uccidere adolescenti in tv come esercizio di potere e controllo. In un universo totalitario, dominato dalle disuguaglianze sociali, la deumanizzazione dell'individuo raggiunge l'apice nella massa di ricchi abitanti della Capitale che si trastulla appassionandosi ai crudeli Hunger Games. Gary Ross forza, però, la mano facendo breccia in questo mondo, intensificando la presenza di segni che lasciano presagire una rivolta imminente. La spilla di Katniss, il saluto a tre dita del Distretto 12 ripetuto nei momenti chiave della storia, il Distretto 11 interamente occupato da afroamericani, sono solo alcuni degli aspetti su cui il regista si sofferma ripetutamente invitando lo spettatore a mettere insieme i pezzi del puzzle per comprendere il disegno complessivo.

Jennifer Lawrence, nel ruolo di Katniss Everdeen, è semplicemente grandiosa. L'attrice, spesso in scena da sola come in Un gelido inverno, è una presenza magnetica e fa sì che la macchina da presa si innamori di lei pur concedendo poco o nulla in termini di frivolezza. La sua Katniss è selvaggia, determinata e sospettosa. Tutti sentimenti che traspaiono dal volto della giovane attrice, capace di una performance intensa, ma misurata. Difficile distogliere lo sguardo dai suoi occhi fiammeggianti e dal suo volto fiero, sia quando la vediamo al naturale che nel corso delle incredibili trasformazioni subite dal suo look durante i Giochi (un plauso al lavoro eccezionale compiuto nel film da costumisti, scenografi e reparto make up). Il talento della Lawrence è talmente limpido da oscurare le performance dei suoi due co-protagonisti. Josh Hutcherson ce la mette tutta e riesce a tirar fuori il carisma necessario ad aderire al ruolo di Peeta puntando sull'ambiguità del personaggio, sulla sua inadeguatezza a combattere nell'Arena compensata dal carattere suadente e da una notevole abilità strategica. Quanto a Liam Hemsworth, il suo ruolo nel primo capitolo della trilogia è piuttosto ridotto. Difficile fornire un giudizio. Tra gli straordinari comprimari spiccano la potenza del grande vecchio Donald Sutherland, che dà vita a un tiranno vecchio stampo capace di suscitare rancore e sdegno con pochi tocchi essenziali, ed Elizabeth Banks, la cui Effie ha un fortissimo impatto sul grande schermo grazie anche allo straordinario look. Tra attori d'esperienza come Stanley Tucci, Woody Harrelson e Wes Bentley a distinguersi è, però, lo stylist Cinna di Lenny Kravitz che spicca per intensità naturale, dimostrando ancora una volta il suo talento innato nella recitazione. Speriamo, in futuro, di vederlo più spesso sul grande schermo.

Movieplayer.it

4.0/5