Kenneth Branagh presenta Thor

In occasione dell'uscita del nuovo atteso cinecomic dell'universo Marvel, abbiamo incontrato il regista Kenneth Branagh, cineasta shakespeariano che si è cimentato con un progetto per lui inedito.

Sicuramente sono molte le domande che vengono in mente, quando ci si trova di fronte un regista come Kenneth Branagh che per la prima volta si cimenta con la trasposizione di un fumetto. L'universo di Thor, tuttavia, a ben guardare non è così lontano dalle tematiche preferite del regista britannico, che da parte sua si è mostrato ben felice di sviscerare le tante curiosità sul film, e sui motivi che lo hanno spinto ad optare per una scelta apparentemente tanto inusuale.

Questo film, per quanto atipico nella sua filmografia, può essere definito in tutto e per tutto un film di Kenneth Branagh. Cosa l'ha guidata in questa storia?
Kenneth Branagh: Il film è molto classico, mi piaceva la passione che emanava dalla storia, e sapevo che poteva essere anche un grande spettacolo. Abbiamo cercato di raccontare la storia in modo vero, onesto, ma allo stesso tempo anche leggero e capace di intrattenere.

Quanto è stata influente sul suo lavoro la produzione della Marvel? Se non fosse stato costretto a inserire rimandi ad Iron Man e Hulk, in vista del prossimo The Avengers - I vendicatori, il film sarebbe stato diverso?
Sinceramente non me lo sono chiesto. Non ho vissuto la richiesta di inserire rimandi ad altri film come una imposizione, per questo film mi sono concentrato unicamente sul soggetto che avevo. I rapporti con la Marvel sono stati ottimi, è uno studio più piccolo di tanti altri hollywoodiani, fatto di persone appassionate che senza mezzi termini si definiscono dei nerd.

Il fumetto ha conosciuto incarnazioni visivamente anche molto potenti. Quanto è presente, nel film, il lavoro di due autori come Jack Kirby e Walt Simonson?
Sono presenti influenze molteplici, prima fra tutte quella di J. Michael Straczynski che ha collaborato allo script. Abbiamo cercato di leggere e di documentarci sulle più varie incarnazioni fumettistiche del personaggio, abbiamo parlato con Kirby e anche con Stan Lee. Nella rappresentazione del mondo di Asgard sono evidenti le influenze di Kirby e di Simonson, ma anche di molti altri autori.

Perché la scelta del 3D, che pone problemi di luminosità specie per un set come quello di Asgard?
Ne abbiamo parlato con la produzione, io ho chiesto se i motivi di questa scelta erano solo commerciali. Loro mi hanno assicurato di no, che il 3D era un modo per investire sul film e sulla sua resa; così abbiamo cercato di usare questa tecnologia nel modo migliore possibile, in funzione narrativa, come uno strumento che desse qualcosa di più alla storia.

Il linguaggio del film è molto classico, spesso di registro elevato. Come ci avete lavorato?
Doveva essere un linguaggio che fosse a metà tra Shakespeare e la Bibbia. Nei fumetti il modo di parlare dei personaggi è ancora più "alto", colto, io volevo mantenere questo registro ma restituire al contempo una sensazione di naturalezza. E' stata un vera sfida, per me, per Chris Hemsworth e per tutti gli altri attori.

I riferimenti shakespeariani nel suo cinema sono sempre presenti. Oltre a questi, ci sono qui rimandi ad altre opere?
C'è sicuramente una combinazione di elementi, i miti nordici che sono stati all'origine del fumetto, ma anche quelli greci e romani. Questa, oltre che la storia di Thor, è anche la storia del suo mondo, di Asgard, di tutti gli elementi che la compongono e degli altri personaggi, essi stessi provenienti dal mito.

Perché l'ambientazione proprio nel New Mexico?
Innanzitutto per gli sgravi fiscali che offre, penso! Inoltre, in quella zona ci sono molti spazi aperti, grandi echi, colori. Volevo che la stazione di Jane avesse lo stesso aspetto di un'astronave aliena in un film di fantascienza degli anni '50, che fosse immersa in uno spazio sconfinato, in cui le emozioni potessero risuonare liberamente. Inoltre, la zona è tra quelle in cui c'è stato il maggior numero di avvistamenti di UFO, e anche questo ne determina il fascino.

Il suo percorso artistico è molto vario. In che momento è, adesso, della sua carriera? Ha deciso cosa farà da grande?
Io spero di non diventare mai grande! Vorrei continuare a intraprendere queste grandi avventure artistiche, mettermi continuamente in discussione. E vorrei poter continuare a interagire con persone di grande talento, come tutti quelli che hanno lavorato a questo film.

Questo film parla di eroismo. Quali sono per lei, nel mondo moderno, gli eroi positivi?
Credo che oggi l'eroismo sia un fatto personale, e molti film di supereroi mettono in risalto anche questo aspetto. L'eroismo di una persona viene fuori quando questa perde qualcosa che gli è caro, gli cade la terra sotto i piedi, ed è costretta a rimettersi in gioco, a cambiare. C'è inoltre bisogno di eroismo nei leader politici, le persone cercano questo nei protagonisti della scena internazionale: ciò è stato evidente con l'elezione di Obama, e anni prima con la vicenda di Mandela.

Nel film, verso la fine, c'è una sequenza di chiara ispirazione western. Quali sono le influenze di questo film, a livello cinematografico?
Le "fonti" sono tante, così come i film che amo: da Metropolis a 2001: Odissea nello spazio, passando per Lawrence D'Arabia. L'universo guerriero del film è molto variegato, e ha tratto suggestioni da vari esempi cinematografici.

Cosa va a vedere, al cinema, Kenneth Branagh?
Ci vado due volte a settimana, e vedo i film che mi piacciono, compresi quelli di supereroi. Mi piace soprattutto andare alle prime, stare in mezzo a tanti spettatori, condividere con gli altri le emozioni.

Cosa può dirci sulla dicotomia umano/divino che caratterizza il personaggio?
E' una dicotomia drammatica, quella di un dio caduto che si ritrova in un universo in cui è un uomo come tutti gli altri, ma che dà anche adito a momenti comici: il dio, infatti, entra in un negozio di animali e chiede tranquillamente un cavallo, e mostra di gradire il caffè.

Perché non ha sviluppato di più il personaggio di Sif, compagna "asgardiana" di Thor?
Nel fumetto c'è una sorta di triangolo tra Thor, Jane e Sif. In questo film, però, volevo porre l'accento sul rapporto tra Thor e Jane, e questo si è rivelato talmente intenso e appassionato che ho dovuto concentrarmi solo su quello, sacrificando altri elementi. Ho dovuto fare delle scelte: spesso un regista dev'essere brutale, in questo, non deve avere scrupoli.

Quella hollywoodiana per lei è una parentesi, o sarà qualcosa di più?
La mia esperienza hollywoodiana si chiude con Thor, per ora.

Che effetto le fa essere spesso paragonato a Laurence Olivier, per la sua predilezione per le storie shakespeariane?
L'ombra di Olivier domina su tutti coloro che, nel ventesimo secolo, si sono cimentati con le stesse storie e hanno interpretato gli stessi ruoli. L'ironia è che nel mio nuovo film da attore, intitolato My Week With Marilyn, interpreto proprio il personaggio di Laurence Olivier; si tratta di una storia molto bella, uno scontro culturale tra uno dei più grandi attori del mondo e quella che veniva considerata un simbolo di Hollywood.

Perché la scelta di uscire prima in Italia e solo successivamente negli USA?
Credo si sia trattato principalmente di una scelta commerciale, legata anche all'imminente periodo delle vacanze estive.

Siamo stati spesso sorpresi dalle scelte dei registi che dirigeranno le trasposizioni da fumetto, ma la sua è forse la più sorprendente di tutte. Può spiegarcene il senso?
L'ho fatto proprio perché per me è inusuale, e un regista a volte deve tentare qualcosa di nuovo. Sono arrivato a Hollywood nel 2008 e mi sono sentito come un bambino durante il primo giorno di scuola, era il periodo natalizio e per le strade non c'era nessuno, ma era tutto addobbato e c'era una forte musica per strada. E' stato un universo completamente nuovo per me, un'esperienza strana e molto intrigante.

Le piacerebbe dirigere un sequel di questo film?
La Marvel e la mia tipica superstizione irlandese mi spingono a non dare nulla per scontato. Quindi, per ora non so. Certo, questa è stata per certi versi un'esperienza irripetibile, proprio perché così inusuale per me.

Perché eliminare dal film l'alter ego umano del personaggio, ovvero il dottor Donald Blake?
Il personaggio di Blake, che nel fumetto si trasformava in Thor, mi piaceva molto. Tuttavia, nel film ho dovuto eliminarlo perché mi sono voluto concentrare soprattutto sulla famiglia di Asgard, e sui rapporti tra i loro compenenti. Comunque, immagino che nei sequel Thor diventerà Blake, e quest'ultimo personaggio acquisterà una sua consistenza.

Nel cast c'è un'attrice affermata come Natalie Portman. Qual è, in genere, il suo approccio con le attrici donne?
Lo stesso che con gli uomini: tento sempre di avere un dialogo aperto con tutti, di condividere le intenzioni, visto che credo nell'immaginazione degli attori. Natalie è ancora giovane ma ha un talento particolare, è intelligente e arguta allo stesso tempo. Una combinazione che può risultare esplosiva per un'attrice.

Pensa che il film potrebbe spingere gli spettatori più giovani a interessarsi della mitologia nordica, da cui tra l'altro nasce il fumetto?
Questa è una domanda interessante. Sinceramente non so, certi interessi non possono essere forzati, non ci sono "medicine culturali": ma se la storia di un film attrae, potrebbe succedere. Credo che questo possa essere forse il lavoro di un insegnante, che potrebbe partire dalla visione del film per sviluppare un discorso sui miti che stanno alla sua base.

Molti dei suoi film sono tratti da opere letterarie. Crede ancora, nel ventunesimo secolo, al potere della parola scritta?
Sì, credo nel potere della parola scritta di liberare la nostra immaginazione. La stessa cosa la fa il teatro, con un attore che recita davanti a una platea ma deve immaginare di essere altrove, creando nella mente il set; e la stessa cosa succede quando un attore cinematografico recita davanti a uno schermo verde, senza scenografie.

Il 3D al cinema sembra un po' in declino, almeno a giudicare dall'ultimo anno. E' stata una moda passeggera, quindi, una novità che si è presto esaurita?
Credo che il problema si ponga quando il 3D è fatto male, non è strettamente necessario alla trama o dà fastidio agli occhi. Noi abbiamo deciso di spenderci soldi e di usarlo a regola d'arte, armonizzando la storia alla tecnica: credo sia questa la strada perché il 3D riguadagni il suo pubblico.