Jodie Foster a Cannes con un castoro

L'attrice e regista accompagna sulla Croisette il suo Mr. Beaver, pellicola presentata fuori concorso che vede protagonista Mel Gibson.

Per il momento ha ricominciato a parlare con la stampa perciò possiamo già accontentarci. Probabilmente invocare la presenza di Mel Gibson nell'arena francese dei media internazionali era chiedere troppo e infatti a presentare di fronte ai giornalisti il toccante Mr. Beaver c'è solo l'attrice e regista Jodie Foster, assidua sostenitrice del collega con cui diciassette anni fa ha condiviso il set di Maverick e che, successivamente, ha sostenuto nel momento più cupo della sua carriera. Fautrice della (probabile) rinascita del divo Gibson, comparso in serata solo sulla Montée des marches, la bionda Jodie parla volentieri del suo film, anch'esso storia di una rinascita. Un ritorno alla vita atipico dove a fornire la seconda chance per ricominciare tutto da capo è un pupazzo di peluche a forma di castoro.

Jodie, come mai hai accettato di dirigere questa strana pellicola?

Jodie Foster: Mi è capitata tra le mani la sceneggiatura. L'ho letta e l'ho trovata bellissima così ho sperato che al regista succedesse qualcosa in modo da poter ottenere il lavoro. Io faccio film personali, ma questo tipo di piccoli film è difficilissimo da realizzare perché non si trovano i finanziamenti. In più richiedono un'enorme energia a livello di investimento personale perché spesso sono opere che attingono al privato e per essere fatti bene occorre molta cura, così stavolta ho aderito a un progetto esterno che mi aveva impressionato positivamente.

Il protagonista di Mr. Beaver è Mel Gibson che, negli ultimi due anni, ha vissuto un periodo particolarmente difficile. Non temi che il pubblico venga influenzato negativamente dalla sua presenza e non prenda bene la cosa?
Jodie Foster: Nel nostro lavoro il primo problema da porsi è quello di trovare l'attore giusto per il ruolo. Quello di Mel era il primo nome in cima alla mia lista perché è l'unico attore in grado di rendere sullo schermo lo humor e la leggerezza contenuti nello script, ma sa anche comprenderne i risvolti drammatici. Ci sono molti attori abili nella commedia e altri nel dramma, ma Mel è un eclettico.

Mi piacerebbe sapere qualcosa di più sulla tua tecnica registica, dal momento che nel film sei anche presente come attrice. Come ti sei mossa sul set?
Jodie Foster: A volte dirigere e recitare allo stesso momento è una pessima idea. Da un certo punto di vista sei avvantaggiato perché conosci bene la sceneggiatura, sai esattamente cosa sta per accadere e hai sempre chiaro davanti agli occhi il piano della lavorazione, ma non hai mai sorprese. Avere Mel nel cast è stata una certezza, se avessi avuto un altro attore sicuramente avrei utilizzato una strategia diversa.

L'accoglienza riservata al film in America e in Canada non è stata delle migliori. Pensi che in Europa la situazione potrebbe essere diversa?

Jodie Foster: Questo non è un film per tutti, è un'opera indipendente, non mainstream. Ha un lato profondamente drammatico, coinvolgente ed emotivo che probabilmente ha messo in difficoltà il pubblico americano perché non è collocabile in un genere preciso. Contiene due storie, quella del padre e quella del figlio, è molto complesso. Probabilmente si avvicina più a una sensiblità europea, ma io faccio film per passione. Non li programmo a tavolino. La bellezza di questo mestiere è proprio il fare film, anche se è complicato e a volte virtualmente impossibile. Il successo è importante, ma se dipendesse tutto dal denaro sarebbe deprimente. Io non sono il mio box office.

Già in passato, in pellicole come Il silenzio degli innocenti, hai avuto a che fare col tema delle malattie mentali. Stavolta te ne occupi dal punto di vista registico. Come mai sei così attratta da questo tema?
Jodie Foster: Gli attori amano la psicologia. Questa è la ragione per cui facciamo gli attori. In questo caso il mio protagonista non è pazzo, ma attraversa una crisi spirituale, esistenziale, qualcosa che non è causato da un motivo concreto. Io ho cercato di mettermi nei suoi panni per capire cosa si prova, ma non conosco la ragione precisa per cui sono attratta da questi argomenti.

Cosa pensi delle pellicole hollywoodiane e del cinema americano contemporaneo?
Jodie Foster: Io faccio film da più di quarant'anni, ma non saprei dire esattamente cosa accade a livello economico a Hollywood. La crisi economica ha avuto un impatto pesantissimo su Hollywood, ma credo che lo sviluppo delle tecnologie moderne e il 3D avranno un impatto positivo. Si vedranno meno film piccoli al cinema e più blockbuster, ma nello stesso tempo le pellicole indipendenti avranno nuovi circuiti casalinghi. Alla fine penso che tutto questo farà bene all'industria.

Il castoro è un animale noto per avere una reputazione positiva, visto che è un 'costruttore'. Quale è la tua relazione con il castoro. Ha una qualche valenza simbolica specifica?
Jodie Foster: No, non ha un significato specifico. Si tratta di una marionetta. Però il castoro ha una personalità specifica. Se avessimo usato un canguro il film sarebbe stato diverso.

La performance di Mel è stata molto coraggiosa. Come è stato dirigerlo sul set?
Jodie Foster: Mel ha compreso immediatamente il personaggio in modo straordinario e ha accettato di esporsi, mostrando le proprie debolezze. La sua performance è incredibile. Prima dell'inizio del film abbiamo discusso a lungo sulle scelte, ma alla fine ha fatto un lavoro immenso.

E' stato difficile trovare la voce del castoro?
Jodie Foster: Nella sceneggiatura si parlava di un castoro con un accento inglese. Abbiamo deciso che il cockney era la scelta più adatta perché è l'accento della working class. Il protagonista del film è un uomo ricco che ha ereditato l'azienda dal padre, ma è un uomo passivo, debole. Il castoro invece è mascolino, vitale, energico, fissato con il sesso. Incarna tutto ciò che Walter non è.

Tu e Mel Gibson siete amici da tempo. Credi che aver interpretato questo film possa riabilitarlo agli occhi del mondo?

Jodie Foster: Non ho proprio idea. Però penso che girare un film sia una cosa positiva, perché ti impedisce di commiserarti. In un certo senso è terapeutico. Penso che Mel sia molto orgoglioso di questo film perché vuole far conoscere anche questo lato di sé...

Alla fine la terapia per il personaggio di Mel non funziona. Hai poca fiducia nella psicanalisi?
Jodie Foster: Non so se la terapia non funziona. Il personaggio ha bisogno di una combinazione di cose diverse, ha una malattia dell'anima. Per guarire ha bisogno di una terapia, di riposo e soprattutto di tempo per curarsi. L'accettazione di sé sarà solo l'inizio del suo percorso.

Walter, il protagonista, scopre un tour di sopravvivenza che lo aiuterà. Jodie, tu come risolvi i problemi? O forse a Hollywood non avete problemi?
Jodie Foster: Tra il suicidarsi e il restare per tutta la vita marionetta, Walter scopre una terza opzione che è il tour di sopravvivenza. Ognuno di noi ha il suo. Io faccio film. Non ho un buon rapporto con le discussioni personali, odio ammettere di avere un problema o di essere stata ferita da qualcuno. L'unico modo per organizzare i miei sentimenti, per me, è fare film.

Che cosa cerchi, da attrice, in un regista?
Jodie Foster: In un regista ho sempre cercato qualcuno che dia sicurezza, una sorta di genitore. Deve essere chiaro su ciò che vuole, preciso, ma anche aperto, comprensivo, capace di accettarti come sei. Deve saper coccolare il tuo ego. Cerco una combinazione di disciplina e dolcezza. Ho lavorato con tantissimi registi e ognuno è diverso dagli altri. La cosa che mi spaventa di più è un regista che non sa cosa vuole perché lavorare diventa complicatissimo.

Alla fine dei conti quale è il messaggio contenuto nel film?
Jodie Foster: Io spero di non realizzare film per lanciare messaggi, ma ciò che volevo esprimere è che non dobbiamo necessariamente essere soli. Walter è una persona solitaria e la malattia lo spinge a isolarsi dal resto del mondo e dalle persone che lo amano, ma è una sua scelta. Non si deve essere soli perché spesso sono le persone intorno a noi a salvarci.

Quest'anno vi sono ben quattro registe donne in concorso a Cannes. Un record. Tu credi che le registe dovrebbero impegnarsi di più nel cinema commerciale o nei film d'arte?

Jodie Foster: In Europa vi è sempre stato un gruppo di donne impegnate dietro la macchina da presa e anche nel cinema indipendente americano non sono mancate, mentre a Hollywood le donne hanno sempre fatto fatica. E' un problema americano, ma non credo che ci sia un complotto contro di loro. Si tratta di di psicologia. Quando vengono messe in campo enormi somme di denaro, come nel mondo dei blockbuster, si cerca di ridurre al minimo il rischio. Gli uomini sono corporativi, ma anche le donne produttrici spesso puntano su uomini con la speranza di recuperare più facilmente il denaro. Credo però che oggi le cose stiano cambiando. L'Oscar a The Hurt Locker è il segno di cambiamento importante.