In Nomine Satan: Emanuele Cerman presenta il film

Il regista-attore romano ha presentato il suo esordio dietro la macchina da presa, ispirato a uno dei casi di cronaca più sconvolgenti degli ultimi anni. Con lui, l'ideatore del progetto e protagonista, Stefano Calvagna.

Dopo due anni di "limbo", seguiti alla presentazione del 2012 al Rome Independent Film Festival, In Nomine Satan vede finalmente la luce. L'esordio dietro la macchina da presa di Emanuele Cerman, ispirato allo sconvolgente caso delle Bestie di Satana, approda infatti ora in sala grazie a Distribuzione Indipendente; etichetta da sempre attenta a tutto ciò che si muove al di fuori delle grandi produzioni, con progetti dal non immediato appeal commerciale, ma caratterizzati in genere da una forte impronta personale. Proprio quest'ultima non manca certo al film di Cerman, pur nato in una diversa dimensione (il progetto era stato pensato come miniserie televisiva) e con un diverso "padre": ideatore iniziale del film era infatti Stefano Calvagna, che ne ha successivamente affidato la regia a Cerman. Non è difficile, nel film, riscontrare l'attenzione ai bassifondi, e a quella metropoli "sporca", pericolosa e nascosta, che da sempre fa parte dei temi prediletti da Calvagna; ma il taglio onirico, la moltiplicazione dei punti di vista, l'assenza di una lettura univoca e definitiva alla vicenda, si devono chiaramente all'interpretazione del regista. Proprio la sinergia tra i due approcci, unita a un tema che non smette di far discutere, rappresenta senz'altro uno dei motivi di interesse di questo esordio.
Cerman e Calvagna, insieme al co-produttore Mattia Mor e a parte del cast, hanno presentato oggi il film alla stampa; affrontando ovviamente anche lo spigoloso caso di cronaca da cui trae origine, e le più generali implicazioni di un tema (il satanismo, e le sette in genere) più che mai d'attualità.

Raccontaci la genesi di questo tuo esordio...
Emanuele Cerman: E' il mio esordio, ma potrebbe anche essere il mio ultimo film. È stata un'esperienza dura, che per me ha comportato in tutto 28 mesi di lavoro solitario. Si parla della nostra generazione come di quella del "nuovo cinema italiano", ma io lo vedo come un cinema della solitudine: questo perché, nel mio caso, per necessità ho dovuto svolgere diversi ruoli. Il progetto era di Stefano, poi lui ha deciso di affidarlo a me: le condizioni erano difficili, abbiamo dovuto girare in dieci giorni, con location che potevano esserci revocate da un momento all'altro. Capisco che anche per un attore, girare in queste condizioni sia un azzardo. Il più grande regalo che mi ha fatto Stefano è stata la libertà: lui mi ha permesso di sviluppare la storia secondo la mia sensibilità, e di portare altri attori nel cast. Con Mattia ci siamo scontrati spesso, ma lui è un imprenditore, ed è ovvio che anche lui sconti delle difficoltà.

Avevi timore nell'affrontare un tema del genere?
Il mio maggior timore era il rapporto di connessione tra la finzione del film e il dolore delle famiglie: sia quelle delle vittime che quelle dei colpevoli, o dei presunti colpevoli. Nel nostro cinema, da molto tempo è venuta a mancare la voglia e il coraggio di raccontare il lato oscuro del nostro paese; sicuramente operazioni del genere non sono favorite, non vengono prodotte come dovrebbero. Io credo che come artisti, e intellettuali, avremmo il diritto di poterci esprimere con tutti i mezzi a nostra disposizione. Io sono stato il fondatore del progetto Indicinema: credo che il cinema indipendente abbia bisogno di visibilità ma anche di regole, che permettano a chi ci lavora di essere pagato. Per realizzare queste opere servono adeguate disponibilità economiche. Noi italiani non siamo meno capaci dei cineasti di altri paesi, nonostante il minor volume di film prodotti; eppure, il nostro paese ha votato contro l'eccezione culturale nei film, ed è solo grazie alla Francia che oggi il cinema europeo è salvo. Se non fosse stato per loro, oggi avremmo avuto in sala solo film hollywoodiani.

Il problema del satanismo è attualmente sottaciuto, anche dalla stampa. Pare che le nuove sette si muovano attraverso Facebook, reclutando soprattutto adepti molto giovani. Coma avete portato avanti il lavoro di scrittura, rapportandovi anche alla realtà attuale del problema? Emanuele Cerman: Inizialmente, l'operazione era televisiva, e in quella dimensione non poteva avere la stessa forza espressiva. Io ho l'hobby degli studi antroposofici, parlo dei lavori di Rudolf Steiner e non solo; avevo già seguito il caso, anche attraverso il lavoro dell'avvocato Paolo Franceschetti, perché si trattava di miei coetanei. Quando Stefano mi chiamò avevo già delle mie opinioni sul caso. Ho inserito dei segni nel film per dichiarare il mio punto di vista: in generale, siamo fin troppo abituati a fermarci alla superficie, e a non vedere ciò che c'è nel microcosmo dell'essere umano. Ci sono troppe incongruenze nella ricostruzione del caso, tra cui una buca che non poteva essere stata scavata dai ragazzi. In questa follia, credo che dietro ci sia stata la volontà di manipolazione da parte di qualcuno. L'Italia resta il paese dei misteri. La sceneggiatura era molto lunga: io ho inserito le parti oniriche, e quelle dove si vedono i ragazzi della setta.
Stefano Calvagna: Lo script iniziale era tratto dagli atti processuali, che avevo seguito personalmente. Avevo inoltre approfondito il caso attraverso un libro che ne parlava. La sceneggiatura era molto lunga e descrittiva, mentre in seguito abbiamo abbiamo optato per un taglio diverso, più cinematografico. Sono stato molto contento che sia stato Emanuele a dirigerlo.

Il vostro era anche un obiettivo di denuncia? Emanuele Cerman: Verso la società, sì. Bisogna che si sappia che cose del genere possono avvenire di nuovo. Si calcola che le sette sataniche contino in tutto 600.000 adepti: è una religione quasi ufficiale. Noi, con le scuole, non stiamo preparando nuovi cittadini, che possano rappresentare anche un pubblico consapevole: stiamo costruendo al contrario degli automi, gente capace solo di consumare.

Cosa potete dirci del film dal punto di vista produttivo?
Mattia Mor: E' un film fatto con un budget meno che ridicolo, 40.000 euro. È stato portato a termine grazie alla passione e all'impegno di tutti i membri del cast e della crew. Di progetti come questi ce ne sono tanti, ma sono pochissimi quelli che arrivano alla visibilità, e a dare soddisfazioni pratiche a chi ci investe. Solo quattro anni fa, un ministro disse con la cultura non si mangia: ora credo che le cose possano cambiare, ma credo anche che ci voglia una spinta da parte di tutti per fare in modo che la cultura torni al centro dell'agenda politica. Con la cultura si può fare impresa, formare una società, e dare lavoro a tante persone.
Emanuele Cerman: Tempo fa, intervenni alla presentazione di un libro di Pietro Folena. In quell'occasione, incontrai l'allora Ministro dei Beni Culturali, Massimo Bray; beh, lui mi disse che attualmente consiglierebbe ai giovani di andare via, di lasciare l'Italia. Io forse lo farò, forse mi trasferirò in Canada: ma lo farò con dolore, dopo aver fatto un piccolo film. Perché devo essere costretto a lasciare il mio paese?

Avete avuto contatti diretti con qualche adepto delle sette?
Non abbiamo avuto contatti diretti, ma va detto che questi 600.000 adepti non sono tutti potenziali assassini. Le sette più pericolose sono quelle legate all'ignoranza, che si formano su qualche libro banale che propugna un esoterismo da supermercato. Quando si tratta di un culto vero e proprio, ci sono sacerdoti e studiosi. La stessa massoneria si basa su culto del satanismo.

Il mondo cattolico vi ha incoraggiato o ostacolato?
Io sono stato invitato da TV2000, loro ci hanno parlato dell'attività di padre Amorth, il noto esorcista. Ci hanno appoggiato perché hanno capito che il nostro film non esaltava il satanismo. Invece, altri cattolici con me sono stati oltranzisti, hanno iniziato a perseguitarmi. Ho dovuto persino cambiare numero di telefono.

Quanto il film si discosta dalla realtà?
L'ispirazione viene dal primo omicidio, poi gli abbiamo dato una struttura narrativa differente, che utilizzasse gli elementi "minatori" della realtà. Abbiamo seguito tutto ciò che era stato detto sul caso dal punto di vista mediatico, di materiale ce n'era a volontà. Io ho dato il mio punto di vista e la mia verità sulla vicenda. Ho lavorato anche molto sull'improvvisazione: da sempre lavoro sull'intuizione, penso che il pensiero sia fondamentalmente un'attività esterna che ci spinge a fare delle azioni.

Se hai dei dubbi sulla ricostruzione ufficiale della vicenda, pensi quindi che i suoi protagonisti siano in carcere ingiustamente? Emanuele Cerman: No, semplicemente credo che forse abbiano avuto pene troppo elevate. Forse non erano gli unici colpevoli, e forse qualcuno è stato reso più colpevole di altri.
Stefano Calvagna: Io di satanisti ne ho incontrati, li ho individuati anche se non si sono dichiarati tali. Alcuni hanno assunto un comportamento goliardico, in certi casi cabarettistico. Qualcuno si è avvicinato al film, e qualcuno è stato anche allontanato durante le riprese. Forse, in realtà, i satanisti in Italia sono ben più di 600.000.

Cosa fa scattare, secondo voi, una simile violenza? E quanto può influire certa iconografia, come quella legata all'heavy metal? Emanuele Cerman: Intanto, va detto che quella tra metal e satanismo è un'equazione di una banalità assurda. Secondo me c'entrano semmai la debolezza, la paura per il futuro e il bisogno di protezione. Non c'è più certezza del lavoro, subentrano noia, incertezza, passività. Questo interesse può sorgere anche grazie a quell'esoterismo da centro commerciale di cui parlavo, che non ha nulla a che fare col vero esoterismo. Il satanismo nasce dalla deviazione del culto luciferico, che è tutt'altra cosa.

Se in Italia ci sono 600.000 satanisti, è probabile che esista anche un satanismo innocuo. Questa distinzione l'hai tenuta presente?
Il satanismo italiano è quasi tutto ignorante e innocuo. Diventa pericoloso quando dietro ci sono associazioni occulte e ignote: le associazioni massoniche, per esempio, sono quelle che sfruttano le persone per averne vantaggi, soprattutto nella sfera immateriale.

Cosa possono dirci gli altri attori, del loro lavoro sul set e dei rispettivi personaggi?
Fabio Farronato: Io vidi un primo montaggio al RIFF, ma ora è tutto molto più imponente e forte. Il mio è un piccolo ruolo, non conoscevo neanche bene la trama del film quando l'ho girato. Credo che quello del film sia un tema che andrebbe affrontato a livello mediatico, finalmente.
Francesca Viscardi: Il film è stato girato in 10 giorni, ed è la dimostrazione, che, se si vuole, la qualità è questione di interesse più che di mezzi. Sul problema specifico del satanismo: il male è "facile", è facile scivolare nell'euforia del male. 600.000 adepti? Personalmente, mi meraviglio che non siano 6 milioni. Il male è dentro tutti noi, ed è questa consapevolezza che ci spinge a stare più attenti. Del mio personaggio, mi ha colpito la rassegnazione: è stato anche difficile interpretate un personaggio ancora esistente. Si tratta di una madre che ha vissuto una tragedia, ha avuto paura ed ha mollato perché è stata minacciata.

Fabiano Lioi: Io interpreto il diavolo, e mi sono divertito a girare quelle scene: il cast è stato molto professionale. Abbiamo bisogno di trovare qualcosa, e lo troviamo nell'oscuro, che è affascinante. L'oscurità, da sempre. è più attraente della luce.
Gianmarco Bellumori: Io ho lavorato sul mio masochismo: nel film ho la possibilità di suicidarmi! Mi avvicino a loro perché ho bisogno di appartenere al gruppo, per curiosità e per una mia grande sofferenza: inizialmente è un gioco, ma poi mi avvicino ad azioni che mi vengono imposte.
Virginia Gherardini: L'energia che c'era sul set ci ha permesso di supplire alla mancanza di tempo. Io ho studiato molto il mio personaggio: anch'io sentivo la responsabilità di interpretare una persona vivente, una responsabilità maggiore rispetto a quando interpreto personaggi immaginari.
Tiziano Mariani: Prima, alla fine della proiezione, si è sentita un'esclamazione spontanea che diceva: "mi ha messo un'angoscia!" Beh, questo era il nostro obiettivo. E' attraverso l'angoscia che si arriva a pensare: non ce la si scrolla di dosso, si può solo capire da dove proviene.

Emanuele, se davvero ti trasferirai in Canada: quali sono gli elementi di sconforto, umani e professionali, che lasci qui, e quali saranno quelli positivi che troverai? Emanuele Cerman: Io sono un attore di provenienza teatrale, vengo dalla compagnia di Ettore Scola; poi sono passato al teatro di ricerca. Da subito mi sono dedicato al cinema indipendente, sono anche un produttore; ho dovuto imparare a montare, ho girato tanti corti. Prima che regista. mi considero autore: mi è sempre interessata la dimensione narrativa del mio lavoro. Mi sono impegnato anche politicamente per il cinema, nel mio non essere nessuno ho un curriculum pienamente professionale; eppure, non c'è agenzia che si degni di rispondermi a un messaggio. Non ci fosse stata Distribuzione Indipendente, il mio film sarebbe rimasto nel cassetto. Io collaboro da tempo con Ivan Zuccon, ora dovrà uscire il suo nuovo film, Wrath of The Crows: lavorando con gli americani, ci siamo resi conto entrambi della differenza di professionalità. Noi, se non abbiamo il sostegno pubblico, o la fortuna di lavorare con produttori indipendenti seri, come Gianluca Arcopinto, siamo impossibilitati a lavorare. Nel nostro ambiente ci sono dei veri e propri squali. Gli attori in Italia non possono neanche fare i provini, non possiamo neanche vivere con questo mestiere. In Canada la vita costa meno, c'è meno densità di popolazione, e c'è un rapporto diretto con gli USA.