Recensione Il pezzo mancante (2010)

E' una vera sorpresa il documentario di Giovanni Piperno, non tanto per lo stile, quanto per la portata del messaggio che tra mille imbarazzi si trova ad incarnare; il fascino degli Agnelli è stato sì lo splendente biglietto da visita dell'Italia che piace, ma ha lasciato dietro di sé morti e feriti.

Il Re Solo

E' difficile riassumere in poche righe lo sterminato albero genealogico della famiglia Agnelli; a sette anni dalla sua morte è ancora nitida nei nostri occhi l'immagine di Gianni Agnelli, ma tutto ebbe inizio nel lontano 1866, con Giovanni Agnelli, fondatore della Fiat. l'Italia era una nazione unita da una manciata di anni e già nasceva colui che l'avrebbe messa in moto, in tutti i sensi. Dinastia, impero, quintessenza del capitalismo tricolore, famiglia regale, chiamiamoli come vogliamo, ma gli Agnelli hanno segnato, con la loro ingombrante presenza, tutta la nostra storia e continueranno a farlo, magari attraverso la placida serenità di John Elkann. Il documentario di Giovanni Piperno, Il pezzo mancante, distribuito da Istituto Luce, non cerca di riassumere i fatti salienti che hanno caratterizzato la vita di questi eroi ricchi e potenti, anzi è andato a scavare là dove non era mai arrivato nessuno, per fare luce, ad esempio, sulla storia del misconosciuto Giorgio Agnelli, il fratello dell'Avvocato, scomparso nel 1965 in una clinica psichiatrica della Svizzera, o per far conoscere meglio Edoardo, secondogenito di Gianni, morto suicida nel 2000, frettolosamente liquidato dai media come "quello un po' strano".


E' una vera sorpresa il lavoro di Piperno, non tanto per lo stile, qua e là discontinuo (ma con efficaci insert di immagini tratte dal repertorio Cine Fiat e di sequenze animate che raccordano i vari materiali di archivio), quanto per la portata del messaggio che tra mille imbarazzi si trova ad incarnare; il fascino degli Agnelli, il loro innato gusto per la bellezza, mescolato alla sana operosità piemontese è stato sì lo splendente biglietto da visita dell'Italia che piace, ma ha lasciato dietro di sé morti e feriti. E non ci riferiamo ovviamente alle tragedie vissute dalla dinastia più nota dello Stivale, ma al carissimo prezzo pagato dall'Avvocato e soci in termini di rapporti umani. Un prezzo che include la cancellazione dall'albero genealogico di un fratello pazzo, incapace di gestire gli affari e per questo letteralmente annullato. Sarà anche un meccanismo già visto, ma la violenza che vi si cela dietro non può lasciare indifferenti, anche se a perpetrarla è stata la stirpe degli Agnelli.

Per scelta voluta dal regista, sono pochissime le inteviste utilizzate. Tra queste, alcune appaiono come stralunati inserti senza alcun valore di testimonianza (lo studioso di costellazioni familiari che in maniera bizzarra associa la morte di Edoardo, secondogenito di casa Agnelli a quella dello zio Giorgio), mentre gli interventi di Gelasio Gaetani sull'amico fraterno Edoardo Agnelli, mostrano un barlume di sincero trasporto. Ma è l'elegante figura della poetessa e pittrice Marta Vio a rimanere impressa più di tutti, colei che per dieci anni è stata la compagna di vita di Giorgio Agnelli, anch'ella relegata in un buio spazio silenzioso, finalmente illuminato. Del potere ipnotico esercitato dagli Agnelli sulla gente comune si è sempre detto; nei rampanti anni '80, decine di poveri diavoli hanno indossato l'orologio sul polsino con la speranza di somigliare a Gianni Agnelli, ma sentire ancora oggi che gli abitanti di un piccolo paese alle porte di Torino si affliggono per l'assenza del rumore delle pale dell'elicottero dell'Avvocato ("Un rumore che ci tranquillizzava", dice uno di loro) fa ancora un certo effetto. Eravamo sudditi e non ce ne siamo mai accorti?

Movieplayer.it

3.0/5