Recensione La chiave di Sara (2010)

La pellicola si muove su due binari, tematici e temporali, paralleli, ben integrati dalla sceneggiatura ma anche opportunamente differenziati a livello di fotografia: asciutta, quasi fredda, quella che descrive gli avvenimenti contemporanei, dai colori seppiati e più intimistica quella usata per raccontare la vita di Sara.

Il coraggio di ieri e quello di oggi

Ogni storia ha il diritto, e il dovere, di essere raccontata. Perché, se non viene raccontata, il suo destino è quello di essere dimenticata. E quando qualcosa viene dimenticato, noi tutti ci allontaniamo di un passo dalla verità. Julia Jarmond, giornalista americana trapiantata a Parigi, questo lo sa, come sa anche che ogni verità ha un prezzo: ma non per questo è disposta a rinunciarvi.
Quello che sembrava solo un lavoro come altri, infatti, si rivelerà invece in grado di scuotere le fondamenta della sua esistenza quotidiana, e di costringerla a ripensare i propri valori e le proprie priorità. Julia si assume l'incarico di scrivere un pezzo sui fatti del 16 luglio 1942, quando la polizia francese, obbedendo alla volontà dei tedeschi, rastrellò decine di migliaia di ebrei parigini e li rinchiuse per giorni, in condizioni igieniche e sanitarie disumane, nel Vélodrome d'Hiver, per poi smistarli verso i campi di lavoro. Attraverso le proprie ricerche, la donna verrà a conoscenza che l'appartamento in cui sta per trasferirsi, di proprietà della zia del marito, era proprio in quel periodo occupato da una famiglia ebrea: nel tentativo di rintracciarla, e di ricostruire lo svolgersi degli eventi in quei difficili momenti, Julia si imbatterà nella storia di Sara, giovanissima inquilina della casa in questione. La bambina, prima di essere catturata insieme ai genitori, aveva nascosto il fratellino all'interno di un armadio, pensando in questo modo di evitargli la brutalità della prigionia: parallelamente al presente di Julia, il film ci racconta anche i tentativi della piccola Sara di scappare dal campo per salvare il fratello, e la sua vita dopo la riconquista della libertà.


La pellicola, tratta dal best seller di Tatiana de Rosnay, si muove quindi su due binari, tematici e temporali, paralleli, ben integrati dalla sceneggiatura ma anche opportunamente differenziati a livello di fotografia: asciutta, quasi fredda, quella che descrive gli avvenimenti contemporanei, dai colori seppiati e più intimistica quella usata per raccontare la vita di Sara, come ad avvicinare lo spettatore al suo punto di vista, alla sua percezione del mondo. La giovanissima Mélusine Mayance contribuisce, con la sua ottima interpretazione, in grado di non farla sfigurare al confronto con la sempre brava Kristin Scott Thomas, a farci entrare in empatia con la piccola Sara: una bambina forte, determinata, che non si lascia sconfiggere dall'apparente impossibilità della sua impresa. Attraverso il filtro della sua percezione della realtà, non ci vengono risparmiati gli orrori della guerra, la bassezza della gente (così come anche la generosità di pochi), la difficoltà di ricostruire la propria esistenza, ma ci si mantiene comunque al riparo dal rischio di scadere nel retorico o nel lacrimevole.

Ma La chiave di Sara, oltre a voler imprimere ancora una volta nella memoria collettiva una macchia della nostra storia, tanto più difficile da accettare perché opera non del nemico dichiarato, ma di chi doveva essere guidato da ideali democratici, è anche un film sull'importanza della conoscenza e della verità. Julia trova, nel corso della propria indagine, non soltanto la risposta agli interrogativi sul ruolo svolto dalla propria famiglia, sulla linea sottile che separa l'innocenza dall'ignoranza e dall'indifferenza, ma trova soprattutto il coraggio di vivere una vita autentica, facendosi carico delle proprie scelte fino in fondo, senza compromessi: come se lo scoprire una verità la legasse implicitamente alla necessità di ricercarne altre ogni giorno, dentro se stessa e dentro le proprie azioni.

L'approfondimento così ben orchestrato dei percorsi individuali tanto di Sara che di Julia lascia però uno spazio forse troppo esiguo alla descrizione delle problematiche di coppia che coinvolgono la giornalista e suo marito: aldilà di questa sbavatura, però, La chiave di Sara è un film equilibrato e originale, che tocca argomenti sempre attuali da una prospettiva nuova, e che dimostra ancora una volta come soltanto attraverso la consapevolezza del nostro passato sia possibile costruire un presente più equo, per noi stessi ancora prima che per il mondo.

Movieplayer.it

3.0/5