Recensione Le iene (1992)

La trama è semplice, quasi essenziale, ma Tarantino riesce a capovolgere qualsiasi aspettativa del pubblico grazie a una regia assolutamente innovativa.

Geometria non euclidea

Nel 1992 il cinema americano subì l'incursione di un malefico folletto, tale Quentin Tarantino. In quell' anno infatti Mr. Tarantino esordì come regista di in un film difficile da catalogare, una pellicola che mal si adattava alle facili etichette hollywoodiane e che mescolava generi e influenze: Le iene.
Le "iene" sono sei uomini, riuniti da un malvivente per portare a termine un furto di pietre preziose. Si frequentano, si preparano insieme per il colpo, vanno a farsi una birra al pub o a bere un caffè, ma non conoscono neppure il loro nome, ma semplicemente il loro colore; Mr White (Harvey Keitel), Mr Orange (Tim Roth), Mr Pink (Steve Buscemi), Mr Blonde (Michael Madsen), Mr Blue (Edward Bunker) e Mr Brown (lo stesso Tarantino).
Ovviamente qualcosa va storto e Mr White e Mr Orange si ritrovano da soli in un magazzino abbandonato, aspettando l'arrivo di qualcuno che possa spiegare cosa è successo e soprattutto possa fare qualcosa per il povero Mr Orange, che si sta sciogliendo in un mare di sangue.
La trama è semplice, quasi essenziale, ma Tarantino riesce a capovolgere qualsiasi aspettativa del pubblico grazie a una regia assolutamente innovativa. Il suo uso del tempo cronologico è completamente sfasato, partendo dalla fine per tornare all'inizio, interrotto spesso da flashback che ci spiegano e ci addentrano nelle psicologie dei vari personaggi.
Altra componente importante è proprio lo spazio. I personaggi de Le iene si muovono per buona parte del film in un grande magazzino vuoto e abbandonato, come su di un'enorme scena teatrale. E Tarantino utilizza solo la loro corporeità per colmare questo vuoto, per arrivare alla triangolazione della resa dei conti finali, come se un duello uomo contro uomo non fosse abbastanza per lui.
Ma non contento di avere stravolto qualsiasi routine che ogni cinefilo conosca a menadito, il regista ci offre anche una sua personale interpretazione di "soggettiva", quando nella scena del bagno della stazione prende come spunto di riferimento non tanto il senso della vista, ma quello dell'udito, per dare una nuova definizione alla "strizza cinematografica".
E soprattutto il buon Quentin sporca e contamina quello che sarebbe potuto essere solo un thriller di serie b.
Quello che ci troviamo davanti è una geniale fusione fra commedia demenziale, gangster movie, poliziesco e persino horror.
Il regista non ha certo paura di mostrarci il sangue e perfino di fornirci una raccapricciante scena di tortura, nè di farci piegare in due dalle risate per gli assurdi dialoghi fra i personaggi.
Ma non si ferma qui; oltre a creare un suo proprio continuum spazio-temporale, oltre a miscelare generi fra loro apparentemente disomogenei, Tarantino utilizza la colonna sonora (tantissimi pezzi rock d'epoca) con un'ottica nuova. Non sfondo per le azioni sullo schermo, ma parte essenziale della trama, un contrappunto per ogni fatto che avvenga.
Il risultato è una regia straordinaria, che fa risaltare una sceneggiatura originalissima e travolgente e che offre agli attori la possibilità (che qui diventa una certezza) di una grande interpretazione (oltre ai già citati, da non perdere Chris Penn, straordinario come sempre).
In una sola parola: Meraviglioso!