Frozen: Alessandro Jacomini ci racconta la realizzazione del film

La lavorazione dell'ultimo film Disney, e non solo, nella nostra chiacchierata con il Lighting Supervisor di Frozen, l'italiano Alessandro Jacomini.

Non è la prima volta che abbiamo la fortuna di sentire dalla voce di Alessandro Jacomini un po' di dettagli sulla lavorazione dei film Disney. Ci era già capitato per Rapunzel - L'intreccio della torre; lo abbiamo risentito in questi giorni in occasione dell'uscita di Frozen - Il regno di ghiaccio e ne abbiamo approfittato per andare oltre l'ultimo lavoro Disney Animation ed approfondire tutta l'evoluzione delle loro produzioni in CGI, da Dinosauri e Chicken Little - Amici per le penne fino ad oggi, ed altri aspetti più generali come l'uso della terza dimensione.
Milanese d'origine, Jacomini è vissuto in Italia fino ai trent'anni, ma è ormai un veterano in Disney, dove svolge il delicato lavoro di Lighting Supervisor, responsabile quindi del look complessivo e finale del film.

Ci racconti com'è stata la lavorazione di Frozen, che particolarità ha avuto dal tuo punto di vista, ed il tuo ruolo in Disney in generale?
La mia esperienza qui risale a quasi sedici anni fa, ho iniziato nel 1998 sul film Dinosauri e da allora ho lavorato a molte produzioni sempre come Lighting Supervisor per Chicken Little, Bolt, Rapunzel e quest'ultimo Frozen, un film di cui sono molto soddisfatto. Io mi occupo di lighting, l'aspetto relativo alla resa finale delle immagini.

Dal punto di vista della luce Frozen deve essere stato un vero e proprio incubo con tutti quel ghiaccio e la neve, tra particelle, riflessioni, deformazioni... qual è stata la sfida maggiore?
Assolutamente sì, per diversi motivi. Il primo è che come studio, in Disney, avevamo lavorato ad alcune produzioni televisivi in cui c'era neve ed ambienti simili, ma di questa portata e con questo livello di resa artistica non avevamo moltissima esperienza. Quindi c'è stato un grandissimo lavoro di ricerca e sviluppo che ci ha portati ad andare anche in scouting sulle montagne del Wyoming, io sono andato persino in Quebec, poi abbiamo fatto ricerche con studi fotografici, esperti, scienziati, per aiutarci a capire proprio la fenomenologia. Questo come punto di partenza, al quale è seguito lo sviluppo per quello che riguarda il software necessario per la resa visiva, fondamentali per la neve ed il ghiaccio. Dovevamo avere il controllo assoluto, non potevamo limitarci ad una resa fotorealistica.

Infatti sono elementi tanto importanti nel film da diventare quasi dei personaggi aggiuntivi...
Assolutamente e dovevamo essere art directed, seguire una direzione artistica, per cui l'aspetto del controllo ha occupato una grandissima parte del nostro lavoro di ricerca. E' stato sicuramente impegnativo, ma anche affascinante perché è un problema complesso che solo dal punto di vista fotogenico capivamo che avrebbe potuto dare risultati estremamente efficaci ed artisticamente alti. Per questo l'aspetto della complessità era mediato dal produrre immagini che aiutavano enormemente a raccontare la storia che è l'aspetto principale. Inoltre è un know-how che viene accumulato ed ereditato di produzione in produzione. E' un po' vero che la tecnologia si sta muovendo ad una tale velocità che per ogni nuova produzione sembra quasi di cominciare da zero, ma non è assolutamente così e cerchiamo di far tesoro delle conoscenze acquisite e cerchiamo di passarlo alle produzioni successive.

Da quello che mi dicevi, eri in Disney già ai tempi dei primi esperimenti con la CGI, da Dinosauri a Chicken Little e l'evoluzione tecnica è evidente ad ogni nuovo film, fino ai livelli elevatissimi di Frozen. Quanto è cambiato il tuo lavoro in tutto questo tempo e che evoluzione può ancora avere in futuro?
E' vero quello che dici. Ho avuto la fortuna di attraversare l'universo Disney quando stavano iniziando a fare il primo grosso esperimento con la CGI che è Dinosauri, un prodotto un po' ibrido, perché aveva i fondali filmati dal vivo e poi trattati con programmi di painting ed image processing, mentre i personaggi erano totalmente CGI. Da questo punto di vista un esperimento. L'evoluzione dello studio da allora è stata enorme, si sperimentava con una tecnologia che era completamente estranea alla cultura dello studio, il tempio dell'animazione tradizionale e si veniva dai grandi successi degli anni '90 con prodotti di altissima qualità fatti con quella tecnica. C'era molta curiosità e voglia di confronto con queste nuove tecniche, ma è stato con l'acquisizione della Pixar, con il fatto che John Lasseter è diventato la forza trainante anche di Disney Animation, che si è visto un cambiamento radicale, rendendoci uno studio che abbracciava completamente queste nuove tecnologie. Lasseter ha portato tutto il suo genio, tutta la sua esperienza, ha capito che il talento era presente nello studio ed andava indirizzato ed è quello che è successo con risultati evidenti negli ultimi progetti. E' stata una bella esperienza vedere in prima persona come questo studio si è trasformato ed è rifiorito in un nuovo rinascimento dal punto di vista tecnologico ed artistico, trovando un modo fresco di raccontare storie che fanno parte del bagaglio di classici Disney, ma affrontate in maniera più aggiornata e contemporanea.
Frozen è indicativo da questo punto di vista, perché richiama l'impostazione classica Disney, ed è ricco di sequenze molto articolate, basta pensare ai numeri musicali e le coreografie, su tutte quella di Let it Go. Quali sequenze sono state più difficili da realizzare e qual è la tua preferita?
Ecco, diciamo che ho avuto la fortuna ed il privilegio di lavorare su diverse di queste sequenze. Quella di Let it Go (nell'edizione italiana All'alba sorgerò), di cui ho curato la supervisione, è sicuramente tra le più difficili, la più complessa. L'integrazione di ambienti in larga scala con effetti che dovevano essere artisticamente e visivamente eccezionali ed allo stesso tempo credibili, mantenendo però un cuore emotivo, che trasmettesse il significato di quella scena, il passaggio di Elsa da ragazza che nascondeva un segreto a donna che abbracciava questa nuova realtà. Una complessità enorme, soprattutto nella parte finale con la costruzione del palazzo di ghiaccio. E' stata sicuramente la sequenza più complessa che lo studio ha affrontato da quando facciamo film d'animazione. Abbiamo dovuto studiare nuove tecniche e c'è stata una squadra di artisti molto talentuosi che ci si è dedicato per moltissimi mesi; in pratica è stata una delle prime sequenze messe in produzioni ed una delle ultime ad essere ultimate.
A tutto questo si aggiunge l'ulteriore difficoltà della terza dimensione. In che modo ha influenzato gli ultimi lavori prodotti e come cercate di usarla in modo che aggiunga qualcosa alla narrazione?
Cerchiamo di abbracciare questa nuova tecnica come un altro strumento per raccontare la storia. Il segreto è far sì che il 3D sia concepito fin dall'inizio, non aggiunto alla fine. Va considerato fin dall'inizio, quando si scelgono gli angoli delle camere bisogna avere ben presente che c'è questo aspetto ed i supervisori della stereoscopia si assicurano che siano scelti i punti di vista ottimali per far sè che non sia solo un trucco che stupisce, ma qualcosa che aiuti a raccontare la storia.

Un aspetto che purtroppo spesso non viene sfruttato pienamente, contrariamente a quanto fa per esempio proprio il corto associato a Frozen, Tutti in scena!, che ne fa un uso straordinario.
Sono d'accordissimo. L'idea geniale di quel corto è di fare una sorta di commistione tra l'aspetto storico dell'animazione ed il futuro.