Recensione Oltre le colline (2012)

Concede poco, Oltre le colline, non cerca l'emotività a tutti i costi e fa un uso essenziale degli espedienti cinematografici più classici; ma colpisce duro con il crudo realismo dei fatti rappresentati e con l'assenza di filtri della sua messa in scena.

Figli di un Dio malato

Alina e Voichita sono due amiche cresciute entrambe in un orfanotrofio, che però hanno in seguito preso strade molto diverse. La prima, dopo un breve soggiorno presso la famiglia che l'aveva adottata, è emigrata dalla Romania in Germania, nel tentativo (vano) di costruirsi là una nuova vita; la seconda ha trovato invece conforto presso un monastero ortodosso, retto da un carismatico sacerdote che le sorelle chiamano semplicemente "padre" o "papà". Quando Alina, sola e senza un posto dove andare, torna dalla Germania con l'intenzione di riportare indietro con sé l'amica, il contrasto tra il rapporto d'amicizia tra le due ragazze (che si scopre presto essere sfociato anche in altro) e la fede in Dio di Voichita si farà sentire in modo dirompente: provocando risultati destabilizzanti sia per l'ambiente in cui la ragazza vive, sia per lo stesso rapporto con Alina.


Dopo aver vinto la Palma d'Oro nel 2007 con il suo 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni, il rumeno Cristian Mungiu torna quest'anno a Cannes con questo Oltre le colline, opera che esplora, con uno stile duro e senza fronzoli, il tema della religione e dell'influenza di un certo modo di intendere la fede sulla vita delle persone. Quelli che Mungiu presenta sono in effetti contrasti insanabili, che vanno a prender corpo non in una qualche setta integralista, ma nel cuore stesso di un'istituzione religiosa, che finisce per diventare una vera e propria prigione, e una fonte di sofferenza, per due persone che provano un sentimento l'una per l'altra. Contrasto tra la visione totalizzante della fede e la necessità di un rapporto affettivo, quindi, ma anche contrasto tra la pretesa di una comunità di essere isolata dal mondo, e di ripudiare le sue simbologie più esteriori (prima tra tutte il denaro) e la sua necessità di vivere nella società moderna; al punto di accettare offerte anche da chi è palesemente sprovvisto di quella fede che sarebbe condizione necessaria per far parte della comunità (come Alina) o da sfruttare senza problemi il lavoro di una persona debole e indifesa come suo fratello.

La natura apparentemente placida e sospesa nel tempo di una realtà come il monastero si rivela progressivamente come qualcosa di ben peggiore di ciò che la sua facciata suggerisce, tale da operare un subdolo plagio nella mente delle ragazze residenti, senza che ciò comporti atti di violenza o di palese sottomissione psicologica. Nei 150 minuti di durata del film, la lenta discesa agli inferi dell'indifesa Alina viene resa con una forza espressiva notevole, contando solo sulla bontà della scrittura e su un'ottima recitazione, dal taglio naturalistico, alla quale il regista lascia intelligentemente tutto lo spazio necessario. Nell'estetica scarna ed essenziale del film, ad essere messe in risalto sono le linee di tensione tra i quattro personaggi principali: la giovane Alina, fragile ma con idee chiare sui suoi sentimenti per l'amica e sulla sua personale visione della fede; la stessa Voichita, in crisi ogni volta che qualcuno mette pur involontariamente in discussione la sua scelta; l'insensibile prete, disarmante nell'ignoranza (colpevole) delle conseguenze delle sue azioni; la combattuta madre superiora, che a differenza di quest'ultimo si rende conto che la condotta da loro seguita porterà presto ad una tragedia.

Concede poco, Oltre le colline, non cerca l'emotività a tutti i costi e fa un uso essenziale degli espedienti cinematografici più classici (pochi i movimenti di macchina, assente la colonna sonora); ma colpisce duro con il crudo realismo dei fatti rappresentati, con l'assenza di filtri della sua messa in scena, con le violenze, accettate dagli altri personaggi come un dato di fatto, subite da Alina: violenze che fanno vibrare di indignazione e lanciano una riflessione (valida universalmente) sulla necessità di un rinnovamento profondo del modo stesso di concepire la fede e nella sua attuazione. La sequenza finale, con l'esplicito dialogo al centro di essa, sembra suggerire che è il mondo ad essere intriso di sporcizia, e che il fanatismo religioso non è che una delle sue tante manifestazioni: ma il contrasto (secolare) tra la predicazione dell'amore e una sua messa in atto che comporta violenze e prevaricazioni necessita tuttora di essere messo in luce. Una necessità che disgraziatamente sembra destinata a rimanere in vita tanto, troppo a lungo.

Movieplayer.it

4.0/5