Federico Moccia presenta i suoi Universitari

Presentata a Roma la nuova pellicola del regista-scrittore, una commedia che racconta la vita di sei studenti fuori sede; 'I giovani? Cercano la famiglia che non hanno più'.

Non si preoccupa delle critiche che gli sono piovute addosso negli anni, Federico Moccia, considerato dai più come l'emblema di un cinema (e di una narrativa) 'facile', che racconta il mondo dei giovani senza eccessiva complessità e non le manda certo a dire ai suoi detrattori; forte del successo ottenuto con i suoi romanzi e con i successivi adattamenti per il grande schermo, il regista torna dietro alla macchina da presa a tre anni dall'ultimo Scusa ma ti voglio sposare e sposta il suo focus sugli studenti dell'università. Universitari - Molto più che amici è il titolo della sua ultima produzione, una commedia, in uscita nelle nostre sale il prossimo 26 settembre, grazie a Medusa, che racconta con toni leggeri la vita di tre fuori sede alle prese con gli esami e l'amore. Sei cuori e una capanna malandata, quindi, da una parte Carlo, aspirante regista, Faraz, ingegnere in formazione e Alessandro, studente di medicina col vizio del cabaret, dall'altra Francesca, romantica iscritta a Farmacia, Giorgia, stilista senza peli sulla lingua ed Emma, giunonica e fragile; costretti a vivere insieme in un ex clinica in disuso che cade a pezzi, scoprono che quel luogo da incubo, teatro di scontri e scaramucce varie, è destinato a diventare nel tempo uno dei ricordi più struggenti della loro giovinezza. I ragazzi, Simone Riccioni, Brice Martinet, Primo Reggiani e le ragazze del cast Nadir Caselli, Maria Chiara Centorami e Sara Cardinaletti si sono presentati oggi a Roma accompagnati da Moccia, che si è espresso a tutto tondo sulla lavorazione del film e non solo.

Federico, in questi anni ti abbiamo sempre visto alle prese con liceali, come mai hai sentito la necessità di raccontare il mondo degli universitari?
Perché volevo raccontare una fase successiva della vita, dopo il primo grande amore, e la prima relazione, caratterizzata dalla differenza d'età, è stato naturale passare ai ventenni. Sono partito da una riflessione fatta sul libro che stavo scrivendo e sono tornato con la memoria ai tempi della mia università. Ho fatto sedici esami a Legge. Ricordo che il momento più bello era andare a casa dei fuori sede, dove si festeggiava sempre, era un mondo molto diverso specialmente per chi, come me, tornava nella propria casa, dalla propria famiglia. Credo di aver trovato un pretesto giusto per fare un buon film, con tanti caratteri diversi. In fondo il senso del film è che tutti loro trovano in quel microcosmo una famiglia che spesso non hanno avuto nella realtà.

Pensi che ci sia un filo rosso che lega i personaggi dei tuoi film?
Sì e no. Nessuno dei protagonisti di Universitari è come Step, ma certamente hanno vissuto le stesse esperienze dei ragazzi di Tre metri sopra il cielo.

Che tipo di differenze hai trovato nel rapporto tra giovani e università rispetto alla tua gioventù?
E' cambiato tutto, allora c'era una maggiore aspettativa su quello che poteva darti l'Università. Oggi questa società ha perso credibilità, ha perso la magia, i ragazzi non hanno più qualcosa in cui credere. Questo aspetto non lo tocchiamo direttamente, però, siamo maggiormente concentrati sui caratteri dei personaggi, sulle loro peculiarità.

Non temi forse di averli astratti troppo dal contesto reale? Nella sequenza in cui il personaggio interpretato da Primo Reggiani contesta i baroni, l'approccio è molto ironico, quasi non volessi dare peso alla protesta in sé...
In realtà volevo mostrare come la televisione non sia in grado di dare voce alle istanze della gente, perché il servizio del telegiornale in cui Alessandro parla viene poi tagliato. L'idea della scena mi è venuta vedendo una puntata di Santoro in cui un ragazzo si faceva portavoce di una protesta di studenti; era molto preso dalla discussione e non sempre ha avuto una chiarezza di esposizione, così, ingenuamente, quando il giornalista ha allontanato il microfono, si è girato verso gli altri chiedendo a più riprese come fosse andato. Mi è sembrato insomma che non si preoccupasse di quello che stava dicendo, ma del suo modo di apparire.

Ed è un andazzo ricorrente?
Beh, mentre giravamo alla Sapienza sono stato contestato. L'ho considerato una mancanza da parte di ragazzi che avrebbero dovuto prendere di mira altre cose, preoccuparsi per obiettivi più importanti di un gruppo di persone che stavano facendo il proprio lavoro. Spero che le contestazioni si facciano per raggiungere qualcosa, a volte mi sembra di no, a volte sono ridicole. Mi sembra che in certi casi si siano perse le ragioni della contestazioni. Se c'è una ragione valida, allora è utile avere un movimento ed è un bene se si riesce ad ottenere qualcosa attraverso la protesta. Mi dispiace quando la contestazione non è fondata, a volte si partecipa ad una manifestazione perché ti piace una ragazza, non perché la si comprenda fino in fondo.

Cosa dovrebbero contestare allora? Quanto oltre dovrebbero andare?
Sono talmente tante le cose per cui protestare davvero, il lavoro, la precarietà, gli investimenti delle università, non certo per la presenza di un regista che sta girando. Forse Nanni Moretti non lo avrebbero contestato, lo avrebbero rispettato.

Quanto c'è di autobiografico in Carlo, il ragazzo che sogna di diventare regista? Sul muro della sua stanza si vede il poster di Attila Flagello di Dio, il film diretto da tuo padre (Giuseppe Moccia, meglio noto come Pipolo, ndr) che ha anche segnato il tuo debutto...
Avevo 19 anni e il desiderio di raccontare qualcosa per immagini. Allora vi dico che il premio che si vede in alcune sequenze, quello che rende Carlo tanto orgoglioso è il vero premio Pipolo che viene assegnato a chi realizza un cortometraggio. Che dire, la sceneggiatura racconta qualcosa che conosco bene, ma mio padre, a differenza di quello di Carlo, non è scappato in Argentina, ho due sorelle normali e una madre non casinista. Mi piaceva, però, la voglia di osservare che possiede questo ragazzo, è un aspetto che mi appartiene. Diciamo che mi è piaciuto raccontare la grande solitudine di questi ragazzi; non credete a chi vuole generalizzare sui giovani, è impossibile. Ci sono ventenni poco maturi e altri che invece sono cresciuti in fretta.

Hai timore che questo film possa spiazzare gli spettatori che hanno amato i tuoi lavori predenti, indirizzandosi a un target diverso?
Non faccio film in base al target, ma seguendo il mio istinto. Volevo trovare una storia e il modo appropriato per raccontarla, e forse questo è il momento giusto. Il mio è un film che può essere trasversale, perché racconta di rapporti diversi, di una voglia positiva di fare gruppo, di trasformare le difficoltà in opportunità. Ecco ciò che ho cercato di intercettare.