Far East Film 2011: una formula da rinnovare?

Se il festival friulano continua a caratterizzarsi per l'efficacia organizzativa, questa tredicesima edizione ha messo in luce una qualità altalenante nelle proposte, oltre a una formula (specie dal lato premi) che forse avrebbe bisogno di un rinnovamento.

E' calato il sipario, con i premi al film cinese Aftershock e al giapponese Confessions, sulla tredicesima edizione del Far East Film Festival, manifestazione che il Centro Espressioni Cinematografiche di Udine dedica al cinema orientale e che nel corso di questi anni è cresciuta fino a diventare il più importante festival europeo del settore. Un'edizione che si è caratterizzata per la consueta efficacia organizzativa, frutto di un lavoro serio da parte di professionisti sinceramente appassionati della materia, ma anche da una qualità altalenante nelle proposte, legata a una crisi economica che ha inevitabilmente colpito il settore e la qualità dei suoi prodotti. Se da parte di filmografie nuove (o quasi) per il Far East, si sono viste proposte interessanti e problematiche (un esempio è quello del film vietnamita Floating Lives, prima produzione di quel paese proiettata a Udine) le cinematografie che storicamente hanno sempre "fatto" il festival friulano si sono rivelate un po' in debito di ossigeno, con pellicole a volte non all'altezza della fama dei loro autori, altre volte espressione delle stesse contraddizioni delle società che esprimono.

Un esempio, in questo senso, è quello della Cina continentale, che ha piazzato ben due film sul podio del premio del pubblico (su cui torneremo), riconoscimento che storicamente è quello principale per il festival friulano: il già citato Aftershock, imponente dramma dedicato al terremoto che sconvolse la nazione cinese nel 1976, e l'ultimo Zhang Yimou Under The Hawthorn Tree, love story tra due giovani che ha sullo sfondo la Rivoluzione Culturale. Difficile non notare, specie in questi due film, una marcata impronta propagandistica, nell'evidente retorica nazionalista espressa dal film di Feng Xiaogang ma anche, e soprattutto, nella visione annacquata e assolutoria delle tragedie di quel periodo che Zhang ha voluto mettere in scena. Scelta, quest'ultima, in qualche modo prevedibile ma da valutare con ancora maggior severità rispetto a quella di Feng, in quanto proveniente da un regista che, nel passato, aveva rappresentato una coerente (e avversata) voce critica del regime. Il resto della proposta proveniente dalla Cina conferma la professionalità che ormai caratterizza quel cinema, ma non si eleva mai a livelli che lascino davvero il segno: dall'elegante ma risaputo wuxia The Lost Bladesman all'irrisolta commedia Welcome to Shama Town, dall'inutile action Wind Blast al remake acchiappasoldi di What Women Want. La pellicola forse più interessante dell'intera selezione cinese è la commedia drammatica The Piano in a Factory, storia privata che si fa pubblica, che mette in scena un paese molto diverso da quello attuale (siamo negli anni '80) e non a caso caratterizzata da uno stile filmico che richiama molto quel periodo.
Più complessa e diversificata la proposta giapponese, che se ha avuto il suo pezzo forte nel citato Confessions, e ha mostrato opere intense come il dramma Villain (tra l'altro entrambi grossi successi al botteghino locale) è stata caratterizzata anche da epopee in costume abbastanza inutili quali The Lady Shogun and Her Men (film dal tono incerto, fino alla fine, tra commedia e affresco storico) e il melò facile facile di The Lightning Tree. Anche il "gioco" del tarantiniano Seaside Motel, commedia nera ad episodi, si è rivelato divertente ma in fondo abbastanza fine a se stesso. Molto più "oneste", da questo punto di vista, e meno pretenziose, pellicole dichiaratamente commerciali e d'intrattenimento come il violentissimo Yakuza Weapon, presentato dal Far East nella proiezione di mezzanotte; si può invece stendere un velo pietoso su Paranormal Activity 2: Tokyo Night, espressione perfetta di una Horror Night più che mai da ripensare (per la quale rimandiamo al relativo articolo).
Se quella di Hong Kong è storicamente la selezione più importante del Far East (nato con l'intento di diffondere, più di altre, proprio quella cinematografia) quest'anno i titoli sono stati numericamente meno del solito, con una qualità anche in questo caso altalenante: se il dramma di Freddie Wong The Drunkard raggiunge livelli di intensità e rigore notevoli, richiamando la New Wave e una Hong Kong diversa da quella dei "bullets and swords" che pure tanto ci hanno appassionato, l'attesa commedia Don't Go Breaking My Heart di Johnny To si è rivelata poco più che sufficiente, un gioco cinematografico leggero, elegante ma sostanzialmente fine a se stesso. Molto riuscito, seppur non originalissimo, è invece l'action thriller di Dante Lam The Stool Pigeon, già visto all'ultimo Festival di Berlino, mentre un revenge movie come Punished, ultima produzione Milkyway diretta da Law Wing-Cheong, ha in parte deluso le aspettative, caratterizzandosi per una certa freddezza e mancanza di coinvolgimento emotivo, limiti abbastanza seri per il genere. Una citazione la merita anche l'imperfetto, ma visivamente accattivante, Lover's Discourse, film a episodi tutti incentrati sul tema dell'amore, dalla qualità altalenante ma da premiare almeno per la complessità e l'eleganza della messa in scena.
Non molto da segnalare per quanto riguarda le altre selezioni del festival, che spaziano da quella thailandese (nella quale, oltre alla prevedibile presenza dell'action Bangkok Knockout, abbiamo potuto apprezzare l'insolito thriller "monastico" Mindfulness and Murder) a quella malese, in cui un regista apprezato e riconosciuto come Ming Woo è incappato in un brutto incidente di percorso come l'horror Seru. La stessa selezione coreana, un tempo piatto forte del Far East, ha mostrato quest'anno ben poco di memorabile, tendendo spesso a reiterare se stessa con poca convinzione: al di là dell'annunciato (e affascinante) cortometraggio di Park Chan-wook Night Fishing, pretenzioso e dimenticabile si è rivelato un dramma come Romantic Heaven, derivativo e freddo il thriller in costume The Showdown, addirittura irritante nella sua pochezza la commedia erotica Foxy Festival. Abbastanza sorprendentemente, nella selezione spicca una commedia romantica come My Dear Desperado, sicuramente interessante per lo sguardo nuovo e fresco sul genere, e per un (relativo) realismo che è in sé abbastanza insolito per il filone. Di buon livello invece, nel suo complesso, una selezione come quella filippina, che se con Rakenrol ha offerto una gustosa e coinvolgente commedia musicale, con Here comes the Bride ha strappato risate convinte, per una pellicola molto applaudita che si è persino piazzata al terzo posto nella graduatoria del pubblico.
Se le retrospettive presentate quest'anno si sono caratterizzate per il consueto, alto livello (imperdibile quella personale su Michael Hui, genio della comicità hongkonghese, interessanti e stimolanti la selezione pinku e la rassegna Asia Laughs, in gran parte "dirottate" al cinema Visionario), è il capitolo dei premi quello in cui, a nostro parere, sono emerse in questa edizione le contraddizioni e i limiti maggiori. Questo è l'aspetto in cui l'ottimo festival friulano dovrebbe forse iniziare a pensare a un rinnovamento, considerate le dimensioni che ha raggiunto e la reiterazione pluridecennale di una formula che, se da un lato ne conferma la natura popolare, dall'altro si rivela ormai poco adeguata ai tempi, oltre a porre qualche problema di attendibilità e credibilità. Il tradizionale Audience Award, a tutt'oggi riconoscimento principale del Far East, è un premio basato in sé sulla fiducia reciproca tra gli spettatori e gli organizzatori della manifestazione, esente com'è da un qualsiasi meccanismo di controllo: ha davvero senso, per quello che è ormai il maggior festival europeo di cinema asiatico, continuare a basare la sua formula su un riconoscimento come questo? Gli stessi Black Dragon Award e My Movies Award si differenziano in parte dal premio principale ma ne ripropongono (specie il secondo) tutte le caratteristiche e i limiti, contribuendo complessivamente a fare della premiazione (e ciò può apparire un paradosso) un momento di importanza minore nell'ambito della manifestazione. Sarebbe proprio impensabile l'idea di affiancare a questi premi, storicamente importanti per il carattere popolare del festival, un riconoscimento assegnato da una vera giuria? Un'idea che gli organizzatori del Far East, a nostro parere, dovrebbero seriamente prendere in considerazione; nell'ottica di un rinnovamento, pur nella continuità di intenti, di una manifestazione che rappresenta, per l'Italia e il capoluogo friulano, un evento autenticamente culturale, oggi più che mai da valorizzare.