Recensione La cosa (2011)

Guardando questo film si avvertono chiaramente due cose: da una parte la volontà di mantenere un forte legame di continuità con la pellicola originale, e dall'altra un tentativo di riproporne motivi, atmosfere e persino snodi narrativi, al punto che in molti frangenti si ha la netta sensazione di star guardando un vero e proprio remake.

Emulazione da prequel

E' un po' curiosa la storia di questo La cosa datato 2011, tardivo prequel di una delle pellicole cardine del New Horror anni '80. Il film del misconosciuto olandese Matthijs van Heijningen Jr., infatti (al suo attivo vari cortometraggi e il film collettivo Red Rain, del 1996) sembra a tutti gli effetti un prequel: una pellicola che vuole narrare cosa accadde a quella base norvegese sull'Antartide in cui Kurt Russell e compagni ritrovarono i resti dei ricercatori e quel cane, col suo micidiale organismo ospite, che avrebbe dato inizio a uno dei più amati incubi cinematografici di sempre. Gli stessi produttori, d'altronde, hanno dichiarato che dare un remake al film di John Carpenter sarebbe stato come "disegnare i baffi sulla Gioconda", tanto perfetto era il modello originale: un prequel avrebbe al contrario permesso loro di lavorare su un soggetto originale, e avrebbe tolto ai tanti fans del film del 1982 la curiosità di sapere cosa era successo agli sfortunati scienziati che per primi rinvennero il mostruoso alieno. Eppure, già il titolo del film fa pensare altrimenti: un prequel con lo stesso titolo del film originale è in effetti un caso ben strano, forse unico nella storia del cinema. La perplessità aumenta quando nei credits si legge che il film sarebbe tratto dal racconto Who goes there? di John W. Campbell Jr., lo stesso che ha dato origine al film di Carpenter e all'originale La cosa da un altro mondo, del 1951. Un prequel mascherato, mimetizzato da remake, quindi? Le cose, probabilmente, sono un po' più complesse di così.


Guardando questo film, in effetti, si avvertono chiaramente due cose: da una parte il tentativo di mantenere un forte legame di continuità con la pellicola del 1982, in quelle location così simili a quelle dell'originale e in quel post-finale che con quest'ultimo riannoda esplicitamente (e saldamente) i fili, addirittura riprendendo il commento musicale originale di Ennio Morricone; dall'altra, si nota però un tentativo altrettanto evidente di riproporre motivi, atmosfere e persino snodi narrativi della pellicola di Carpenter, al punto che in molti frangenti si ha la netta sensazione di star guardando un vero e proprio remake. Apparentemente un prequel che si maschera da remake, quindi, ma che a uno sguardo più approfondito mostra di essere davvero, sotto l'ulteriore mimetizzazione narrativa che lo vuole "episodio 0", un rifacimento del film originale. Livelli multipli, quindi, strati di mimesi che si sovrappongono come in un gioco di scatole cinesi, meccanismi concentrici di imitazione, in cui è fin troppo facile ritrovare un'affinità tematica col soggetto. Volendo stare a questo gioco, quindi (un po' ozioso, lo ammettiamo) dovremmo domandarci se il film di Matthijs van Heijningen Jr. riesce ad imitare il suo modello altrettanto bene di quanto il suo alter ego filmico fa con le sue vittime. La risposta è, prevedibilmente, negativa: seguendo l'altra similitudine, quella fatta dai produttori, viene da dire che, se questo film ha evitato di disegnare i baffi sulla Gioconda, ne ha comunque realizzato un falso, di discreta fattura ma pur sempre (palesemente) un falso.

Sono passati ormai 30 anni (tondi tondi) dal film di Carpenter, e tutto ciò che è stato fatto nel campo del fanta-horror, nel bene e nel male, lascia il segno anche su operazioni come questa. Non solo la tecnica e gli effetti speciali, ma anche il modo di raccontare, i tempi narrativi, e anche gli stessi gusti del pubblico, si sono modificati radicalmente, com'è ovvio, in questo trentennio. E' molto più difficile, nel 2012, impressionarsi e spaventarsi per la "profanazione" del corpo portata da un organismo alieno, cogliere il fascino oscuro di un mostro lovecraftiano che divora, fagocita ed emula le sue vittime, rendere la paranoia strisciante che spinge a non fidarsi più di nessuno (quando la mancanza di fiducia è diventata ormai, nel mondo contemporaneo, normale modus vivendi delle persone). Se nei primi anni '80 si trattava di demistificare il nascente rampantismo, e il forzato ottimismo tipici dell'era reaganiana, con robuste dosi di cinismo (quelle che un regista come Carpenter era così bravo a spandere sul cinema americano) ora non si può che fotografare un'insicurezza e una mancanza di fiducia nel prossimo che sono diventati condizione diffusa. Il "gioco" del sospetto mutuato da Dieci piccoli indiani di Agatha Christie, così d'effetto nel film originale, qui non può che avere un impatto limitato; riproposto com'è, tra l'altro, in modo scolastico e fin troppo poco convinto.

Se quella appena fatta è una considerazione di carattere sociologico (che ha tuttavia evidenti ricadute estetiche) va anche sottolineato come, dal punto di vista cinematografico, questo La cosa in versione 2011 mostri tutti i suoi limiti. Il personaggio femminile interpretato da Mary Elizabeth Winstead e i suoi contrasti per la "leadership" del gruppo con quello di Joel Edgerton potevano forse rappresentare un motivo interessante, se la sceneggiatura non avesse scelto di accantonarlo quasi subito; ma la scelta perdente, per lo script, è in fondo proprio quella di un'emulazione sostanziale del film originale: perché, se la sceneggiatura prova a guardare a quelle atmosfere e a quel tipo di costruzione narrativa, poi la regia inanella tutta una serie di spaventi ben più convenzionali e stanchi, affidandosi sì a un ritmo abbastanza sostenuto, caricando la messa in scena di effetti di make-up e di momenti gore obiettivamente ben resi, ma svuotandola completamente di quel sottile senso di angoscia che dovrebbe sostenere e dare un senso a tutta l'operazione. Quello che appare è che, consapevole dell'impossibilità di riproporre oggi l'impatto (a tutti i livelli) che Carpenter seppe dare alla sua pellicola, il regista abbia puntato sull'ipertrofia della messa in scena, sulla moltiplicazione degli effetti shock, sulla contrazione dei tempi e su un ritmo che tenta artificialmente di mantener viva l'attenzione dello spettatore. Ma i gusti di quest'ultimo, e specie del consumatore medio di cinema horror, come si diceva poc'anzi, sono cambiati: e, se gli si doveva dare un fanta-horror a budget medio-alto, era forse opportuno farlo senza scomodare un classico.

Movieplayer.it

2.0/5