Da Annie a Blue Jasmine: le donne secondo Woody

Mentre arriva al cinema il suo nuovo film, l'apprezzatissimo Blue Jasmine, con una strepitosa Cate Blanchett in odore di Oscar, riscopriamo i migliori personaggi femminili protagonisti dei classici di Woody Allen: donne sognatrici, nevrotiche ma sempre e comunque adorabili (o quasi).

Puntuale come ogni anno, Woody Allen è tornato ed è in splendida forma! L'inossidabile regista newyorkese, che ha appena festeggiato 78 anni, è da oggi nelle sale italiane con il suo nuovo film, Blue Jasmine, reduce dal grande successo riscosso questa estate negli Stati Uniti. Un dramma con venature di caustica ironia, in cui Allen si mette totalmente al servizio del personaggio del titolo: inesorabilmente snob e classista, Jasmine subisce il passaggio traumatico dalle mondanità e dal lusso smodato dell'Upper East Side di New York ai quartieri proletari di San Francisco in seguito allo scandalo che ha travolto suo marito, il business-man fraudolento Harold Francis (Alec Baldwin), e dopo un esaurimento nervoso è costretta a rifugiarsi a casa della sorella Ginger (Sally Hawkins), nel tentativo di ricominciare una nuova esistenza.

Un personaggio costantemente sospeso sull'orlo del baratro, che ricorda molto da vicino la Blanche DuBois impersonata da Vivien Leigh in Un tram che si chiama Desiderio, e che la diva australiana Cate Blanchett riesce ad impersonare con una perfetta immedesimazione: Blue Jasmine è innanzitutto un monumento al suo incredibile talento, e ora come ora la Blanchett è già considerata la favoritissima per l'Oscar alla miglior attrice del 2013 (dopo la statuetta da non protagonista conquistata nel 2004 prestando il volto a Katharine Hepburn in The Aviator di Martin Scorsese).

Blue Jasmine: un profilo della malinconica Cate Blanchett
Blue Jasmine: un profilo della malinconica Cate Blanchett

Blue Jasmine denota ancora una volta la felicità e l'acutezza con le quali Woody Allen è riuscito a costruire un personaggio femminile ritratto in tutte le sue fragilità e contraddizioni. Del resto, proprio questo rappresenta da sempre uno dei maggiori punti di forza dell'Allen autore: la capacità di penetrare nell'animo femminile (molto più di quanto non accada con i suoi personaggi maschili) e, parallelamente, di ottenere il meglio dalle - magnifiche - attrici con le quali ama lavorare. E dopo la Jasmine di Cate Blanchett, riavvolgiamo il nastro e ritroviamo dunque alcune fra le principali "eroine" del cinema di Woody...

Annie Hall: fragilità e tenerezza a New York

Ammettiamolo: Annie Hall non è solo una delle figure iconiche del cinema americano degli Anni '70, ma è anche uno di quei personaggi di cui è impossibile non innamorarsi. Letteralmente. Il film stesso, Io e Annie (ma il titolo originale è proprio Annie Hall), realizzato nel 1977, è considerato da molti fan il massimo capolavoro di Allen: è l'opera che ha segnato il suo trionfale passaggio ad una fase più 'matura', volta all'analisi delle moderne nevrosi, e che l'Academy ha ricompensato con quattro premi Oscar, tra cui miglior film e regia. Lei, Annie, non poteva che essere interpretata da Diane Keaton (e non a caso: il vero nome della Keaton è Diane Hall), ex compagna di Woody nella vita privata, nonché sua storica partner di set fin dai tempi di Provaci ancora, Sam. E se Alvy Singer, l'io narrante del film, pare costruito su misura per Allen, la deliziosa Annie è incarnata alla perfezione dalla Keaton: la sua incommensurabile tenerezza, dai tratti quasi naïf, unita ad un carattere volitivo e al suo desiderio di indipendenza; il look stravagante e androgino, a base di cravatte e pantaloni, che avrebbe segnato la moda di quegli anni; il nervoso motivetto musicale "La-di-da", utilizzato nelle situazioni di imbarazzo; le discussioni sull'amore, sui libri, perfino sulle mestruazioni; le passeggiate in una New York romantica e incantevole; la sua dolcissima performance canora sulle note di Seems Like Old Times. Un ruolo che valse a Diane Keaton un meritatissimo premio Oscar e che l'ha fatta entrare definitivamente nel cuore di tutti noi.

Tra realtà e fantasia, alla ricerca della rosa purpurea del Cairo

Altro decennio, altra musa: interrotto il sodalizio con Diane Keaton (recuperato più tardi con l'esilarante Misterioso omicidio a Manhattan), fra il 1982 e il 1992 Woody Allen collabora senza sosta con la sua nuova partner nonché moglie (almeno fino a un burrascoso divorzio), Mia Farrow. Insieme a lui, la star di Rosemary's baby - Nastro rosso a New York gira una serie di opere indimenticabili, fra cui La rosa purpurea del Cairo, del 1985, forse la migliore performance della Farrow sotto la regia di Allen. Ambientato nell'America di Roosevelt e della Grande Depressione, il film mette in scena i vagheggiamenti romantici di Cecilia, modesta cameriera e moglie insoddisfatta, che trova rifugio da una squallida realtà nel buio di una sala cinematografica: è qui che si sprigiona la magia, ed è qui che un giorno, all'improvviso, prende vita l'eroe di un film d'avventura intitolato appunto La rosa purpurea del Cairo, il carismatico Tom Baxter (Jeff Daniels), che "esce" dallo schermo per raggiungere Cecilia e fuggire insieme a lei. "Ho appena incontrato un uomo stupendo... è immaginario, ma non si può mica avere tutto" afferma convinta la donna, sintetizzando con sopraffina ironia l'eterna dicotomia tra l'ideale perfezione delle nostre fantasie e la disarmante concretezza della vita reale.

Tre sorelle: Hannah, Lee e Holly

Come per il dramma teatrale di Anton Cechov (uno dei suoi idoli letterari), nel 1986 Woody Allen ha deciso di scrivere e dirigere un film basato su tre sorelle, per raccontarne le vicende intrecciate e il rapporto spesso conflittuale: il risultato, Hannah e le sue sorelle, costituisce uno dei suoi massimi capolavori. Secondo film corale al femminile della produzione alleniana dopo il bellissimo Interiors del 1978, Hannah e le sue sorelle si svolge nell'arco di due anni portando avanti le storie individuali di Hannah (Mia Farrow), attrice affermata e personalità dominante dell'intera famiglia, la quale tuttavia non si accorge del risentimento e dell'invidia covati dalle sue sorelle; Lee (Barbara Hershey), divisa fra il rapporto con il maturo pittore Frederick (Max von Sydow) e le tentazioni adulterine nei confronti di Elliot (Michael Caine), marito di Hannah; e la disastrata Holly (Dianne Wiest), aspirante attrice frustrata tanto nella vita professionale quanto in quella privata. Tre donne dipinte da Allen con un'indiscutibile abilità nel coglierne i lati più complessi e contraddittori, ma anche l'intima umanità di ciascuna di loro. Il film, accolto da un ampio successo mondiale, ha ottenuto tre premi Oscar, uno dei quali per la miglior attrice non protagonista a Dianne Wiest (che bisserà nel 1994, aggiudicandosi una seconda statuetta nella medesima categoria grazie ad un altro film di Allen, Pallottole su Broadway).

Sognando Bergman: Gena Rowlands, un'altra donna

Uno dei titoli meno conosciuti, ma in assoluto fra i più belli e toccanti nella vasta filmografia alleniana è senza dubbio Un'altra donna, seconda pellicola "bergmaniana" del regista newyorkese dopo il precedente Interiors. Diretto nel 1988, Un'altra donna è costruito interamente attorno alla sua protagonista, Marion Post, una professoressa di filosofia di mezza età impersonata da una meravigliosa Gena Rowlands, moglie e partner del regista John Cassavetes e qui in una delle sue prove più alte. Appartenente all'alta borghesia intellettuale di New York, unita in un placido mènage con il marito Ken (Ian Holm) e assorbita dal nuovo libro che sta scrivendo, la granitica Marion sente improvvisamente incrinarsi tutte le certezze che aveva sempre date per scontato quando, per puro caso, le capita di ascoltare la conversazione fra lo psicologo della porta accanto e una sua paziente, Hope (Mia Farrow). Costretta di colpo a confrontarsi con i rimorsi e i rimpianti del proprio passato, Marion inizierà a mettere in dubbio i fondamenti su cui si regge la sua esistenza e, rispecchiandosi nelle insicurezze dell'"altra donna", troverà finalmente il coraggio di guardare dentro se stessa...

Mogli sull'orlo di una crisi di nervi

Ultimo film del lungo sodalizio con Mia Farrow, nonché uno dei vertici della sua produzione degli Anni '90, Mariti e mogli rappresenta un'altra "sfida a distanza" fra Woody Allen e il suo nume tutelare Ingmar Bergman. Questa volta, il terreno di confronto è il celeberrimo Scene da un matrimonio, rivisitato da Allen (inclusi gli spezzoni di interviste direttamente alla macchina da presa) in una commedia dai risvolti drammatici incentrata sulla fragilità dei rapporti coniugali, sottoposti a innumerevoli ostacoli direttamente correlati all'incostanza dei sentimenti umani. Il meccanismo narrativo si sviluppa a partire da una "doppia coppia": da una parte Gabe e Judy (Woody Allen e Mia Farrow), fedeli l'uno all'altra e legati da un tranquillo mènage; dall'altra Jack e Sally (Sydney Pollack e Judy Davis), la cui inaspettata decisione di separarsi finirà per sconvolgere anche gli equilibri dell'altra coppia. Fra dubbi, tradimenti, adulteri e riconciliazioni, il film costruisce una girandola sentimentale in cui ad emergere con maggior vigore sono proprio le due mogli. E se la Judy di Mia Farrow, tormentata da sottili incertezze e lusingata dalla prospettiva di un flirt con l'aitante Michael (Liam Neeson), rispecchia altre "donne alleniane" impersonate dall'attrice, a rubare immancabilmente la scena è una strepitosa Judy Davis, candidata all'Oscar per il ruolo di Sally, divisa fra una pacatezza di facciata e una furia nevrotica pronta ad esplodere: a tal proposito, resta memorabile - e, a suo modo, divertentissima - la sequenza della furibonda telefonata della donna al marito Jack.

Vicky, Cristina e María Elena: donne in amore a Barcellona

Uno dei maggiori successi dell'ultimo periodo di attività di Woody Allen è una delle pellicole "europee" del regista newyorkese, che subito dopo la sua "trilogia di Londra" (e prima delle trasferte a Parigi e Roma) nel 2008 ha pensato bene di fare tappa in Spagna, e più precisamente a Barcellona, per un altro capitolo della sua variegata "commedia umana", in cui si è divertito a contrapporre il differente approccio nei confronti dell'amore e dell'eros dei due personaggi del titolo: Vicky e Cristina, due giovani e graziose turiste interpretate rispettivamente dall'inglese Rebecca Hall e dall'americana Scarlett Johansson. Con tocchi quasi rohmeriani nella descrizione delle "scelte morali" delle sue protagoniste, ma con un'insolita carnalità che rimanda quasi al cinema di Pedro Almodóvar, Vicky Cristina Barcelona è basato fin dal titolo sul dualismo fra la borghese Vicky, più razionale e controllata, in procinto di sposare il fidanzato Doug (Chris Messina), e la trasgressiva Cristina, dalla sessualità più spigliata e pronta a farsi sedurre dal fascinoso tombeur de femmes Juan Antonio (Javier Bardem). Il film ha fatto guadagnare inoltre l'Oscar come miglior attrice non protagonista a una travolgente Penélope Cruz nella parte di María Elena, l'ex moglie psichicamente instabile di Juan Antonio: un'ulteriore "variabile impazzita" da aggiungere a quell'equazione totalmente imprevedibile da cui dipendono i sentimenti e le azioni umane.