Recensione A Serious Man (2009)

'A Serious Man' è l'ennesimo gioiello registico cui ci hanno abituato i fretelli Coen, un'opera grondante ironia nerissima e del tutto impietosa nei confronti della comunità che ritrae.

Caos Calmo

"Io non ho fatto niente, niente!", continua a ripetere a tutti Larry Gopnick, tipico rappresentante della middle-class ebraica nell'America di provincia degli anni Sessanta. La sua intera esistenza, fino a quel momento trascorsa in maniera placida e monocorde, sta per essere spazzata via con la furia repentina di un tornado, come quello che appare alla conclusione del film. L'unico modo che Larry conosce per reagire è questo: non fare nulla, osservare il misero castello costruito in quarant'anni di vita cascare pezzo per pezzo rimanendo completamente immobile di fronte alla catastrofe.

I fratelli Ethan e Joel Coen, infallibili disegnatori di forme geometriche, dopo aver teorizzato il movimento circolare per Mister Hula Hoop, quello lineare per Il grande Lebowski, e il percorso a spirale in L'uomo che non c'era, realizzano con A Serious Man un film il cui protagonista è contraddistinto dalla stasi e dalla fissità più assoluta, mentre tutto il mondo intorno a lui si muove in maniera caotica e impazzita. Gli autori elaborano questa costruzione narrativa attingendo alle origini della propria tradizione yiddish, la stessa che animava anche Barton Fink. Non a caso quella ebraica è una cultura caratterizzata da un elevato grado di immutabilità e rigidità, e si presta particolarmente a rappresentare il personaggio di Larry.

È forse per questo motivo che l'ultimo film dei Coen si apre con un prologo straniante, apparentemente avulso dal contesto: girato in 4/3 come un vecchio film, è una specie di racconto tradizionale yiddish ambientato in un piccolo villaggio polacco, dove una coppia di coniugi riceve la visita di un dybbuk, uno spettro della tradizione ebraica. Il prologo, in realtà, cattura alla perfezione lo spirito di tutto il film, e la storia di Larry Gopnick sembra quasi l'aggiornamento e l'attualizzazione in chiave moderna dei racconti folkloristici yiddish, ricolmi di assurdi paradossi e di humour nero. Quasi che Larry fosse anch'egli vittima della maledizione spettrale mostrata nell'incipit, su di lui si abbattono nel corso di pochi giorni una serie di sventure da far impallidire le piaghe bibliche. La moglie gli comunica all'improvviso che vuole lasciarlo per risposarsi con un vero uomo (o "mensch", come dice lei), e gli intima di trasferirsi in un motel. Nel frattempo la sua nomina a una cattedra universitaria è minacciata dall'arrivo di lettere anonime dal contenuto diffamatorio, mentre uno studente coreano lo ricatta subdolamente per ottenere una promozione all'esame. Come se non bastasse, i figli tentano di sottrargli denaro in ogni modo: Danny, in attesa di celebrare il bar mitzvah compra di nascosto dischi di musica pop, mentre Sarah vorrebbe rifarsi il naso. Non facilita le cose il fatto che Arthur, fratello mentalmente disturbato di Larry, venga arrestato e accusato di aver commesso atti osceni.
L'uomo, come un novello Giobbe, si sente quasi vittima di una maledizione divina e non riesce a fare altro che chiedere consiglio a una serie di rabbini. Sfortunatamente per lui, nessuno di loro sarà in grado di rivelargli grandi verità spirituali, ma solamente storielle disconnesse e senza alcuna morale di fondo, che confermano ancora di più l'insensatezza tragica e quasi kafkiana del destino di Larry. Il vertice di questa sublime mancanza di senso - alla base di tutto il cinema dei fratelli Coen - lo si raggiunge quando Danny, celebrato il bar mitzvah, può finalmente essere ricevuto dal venerabile rabbino Marshak. In uno studio ricolmo fino all'eccesso di ogni possibile chincaglieria - che è una delle più riuscite metafore della poetica satura e ridondante dei Coen - l'anziano e saggio uomo accoglie Danny e, dopo avergli riconsegnato la sua adorata radio portatile, non ha altro da rivelargli se non la formazione del gruppo musicale Jefferson Airplaine.
Dopo aver rielaborato esteticamente gli anni Cinquanta con Mister Hula Hoop, i Coen - grazie all'aiuto del fedele direttore della fotografia Roger Deakins - si concentrano adesso sul periodo della loro infanzia con un gusto particolarmente nostalgico per il design e per le icone della cultura popolare dell'epoca, da Somebody to Love dei Jefferson Airplane (che apre il film con un'incredibile soggettiva all'interno del padiglione auricolare di Danny), alla serie televisiva di fantascienza F-Troop. Il risultato è l'ennesimo gioiello registico cui ci hanno abituato i fratelli Coen, un'opera grondante ironia nerissima e del tutto impietosa nei confronti della comunità che descrive.