Recensione Underworld: La ribellione dei Lycans (2009)

Anche in questo sequel gli appassionati delle più cupe atmosfere fantasy/horror troveranno pane per i loro denti, specie qualora abbiano in dotazione canini taglienti e affilati.

C'è uno Spartaco tra i Lycans

Di fronte a una saga come Underworld, spigliato cross-over che fonde tradizionalmente efferati racconti di vampiri con la scia di sangue tracciata da altre creature dotate di poteri sovrumani, nella fattispecie lupi mannari, è forse opportuno abbassare le proprie aspettative. In altre parole accontentarsi di ciò che può offrire un blockbuster orientato con decisione verso le roboanti frontiere dell'action movie, ma al contempo poco ricercato nello stile, nonché carente sul piano dell'originalità. Siamo insomma lontani dalle vertiginose invenzioni narrative e dalle eleganti danze di morte, con cui Guillermo del Toro ci aveva deliziato in Blade 2, l'episodio cinematograficamente più riuscito della trilogia dedicata al "diurno" Wesley Snipes, metà uomo e metà vampiro.

Eppure, anche in questo Underworld: La ribellione dei Lycans gli appassionati delle più cupe atmosfere fantasy/horror troveranno pane per i loro denti, specie qualora abbiano in dotazione canini taglienti e affilati. Se si esclude un epilogo ambientato nel presente e costruito con immagini provenienti dal primo Underworld, il nuovo film si caratterizza per il fatto di svolgersi interamente in un passato mitologico, già in parte affrontato nel precedente Underworld: Evolution. Poiché regista e produzione non hanno voluto confermare (ed è un peccato) la seducente vampira Kate Beckinsale, alias Selene, si è ritenuto opportuno focalizzare l'attenzione su altri scontri di personalità e su episodi localizzati nell'epoca buia in cui prese forma la rivalità tra due spietatissime razze, la cui reciproca ostilità affonda le sue radici in una comune discendenza, come avevamo appreso nel secondo capitolo della saga.

Tale scelta, sacrificio della Beckinsale a parte, non ci trova affatto contrari: inferiore a Blade in quanto a capacità di calare i vampiri in scenari contemporanei, l'universo di Underworld acquista maggiore coerenza quando l'azione si sposta a ridosso di tempi barbarici, trovando lì terreno fertile per la fisicità degli scontri, valorizzata a quel punto dalle tonalità plumbee della fotografia. Persino il racconto in Underworld: La ribellione dei Lycans acquista un po' di sostanza, isolando alcuni spunti non disprezzabili, per cui l'odio atavico tra le due specie avrà in seguito un rilievo ben diverso. Al centro del plot vi è la sofferta parabola di Lucian (Michael Sheen) e di altri licantropi i quali, acquisito un più alto grado di coscienza rispetto ai congeneri relegati a vivere nelle foreste in condizioni di pura bestialità, sono tenuti in condizione di semi-schiavitù dai più evoluti vampiri, timorosi della loro forza, ma sempre pronti ad esibire un aristocratico disprezzo. I rapporti tra queste singolari guardie del corpo e i loro padroni, guidati dal gelido Viktor (Bill Nighy), si incrinano non appena costui si accorge della passione proibita nata tra sua figlia Sonja e Lucian, il più scaltro dei suoi schiavi. Un amore che avrà nell'immediato conseguenze funeste. Ma che porterà anche Lucian a ergersi quale campione della sua razza, quasi uno Spartaco sorto nella grande famiglia dei Lycans per liberarli da una schiavitù durata troppo a lungo.

Non si può dire che la regia di Patrick Tatopoulos, scenografo di successo (Independence Day, Die Hard - Vivere o morire e Io, Robot tra i suoi lavori), faccia miracoli, però non è nemmeno un caso che la definizione degli ambienti risulti più curata che in precedenti occasioni, propiziando una certa escalation drammatica. La fortezza dei vampiri diviene così l'epicentro di situazioni non prive di pathos, per la gioia di Len Wiseman (qui in veste di produttore) e degli altri artefici di Underworld. Rimpiangevamo la Beckinsale, eppure l'interpretazione vigorosa di Rhona Mitra (Sonja), cui non difetta certo la sensualità, è il pretesto di una delle scene più suggestive, intense, struggenti di tutta la pellicola: quella in cui una decisione sofferta e comunque crudele del padre Viktor ricicla la luce del Sole quale strumento di punizione e di morte.