Recensione Polisse (2011)

Polisse colpisce per l'estrema vitalità e per il coraggio ed ambisce a fornire uno spaccato della Parigi multietnica e più problematica, e ad essere così in qualche modo riconosciuto dalla giuria di Cannes 2011.

Bambini (e poliziotti) a Belleville

Sulla locandina con calligrafia infantile campeggia il titolo traslitterato Polisse, ma il film di Maïwenn Le Besco presentato in concorso al 64. Festival de Cannes è una pellicola dura e realistica, che racconta le storie - tragicamente vere - della divisione CPU (Child Protection Unit, la nostra Unità per la tutela dei minori) della polizia di Parigi. Un film che colpisce per l'estrema vitalità e per il coraggio, per la freschezza con cui riesce a raccontare l'unità diurna come una vera e propria famiglia disfunzionale, all'interno della quale ognuno cerca di proteggere il proprio partner; ma al tempo stesso le tensioni accumulate sono talmente alte da mettere continuamente a rischio l'unità della squadra e l'incolumità degli stessi agenti.


D'altronde per qualsiasi poliziotto l'impresa più difficile è sempre quella di riuscire a distaccarsi dagli orribili avvenimenti di cui si è testimoni giorno dopo giorno, e questo vale ancor di più per i membri del CPU, perchè cosa può esserci di peggio degli abusi sui bambini, spesso davvero piccolissimi, ancor di più se questi abusi provengono dagli stessi genitori? Come si può tornare a casa e abbracciare i propri figli o accompagnarli all'asilo dimenticando tutto il male che costantemente viene fatto a tante povere vittime innocenti e in alcuni casi perfino incoscienti?

E se per i bambini c'è spesso possibilità di salvezza, la possibilità di dimenticare e ricominciare, si può davvero dire altrettanto per chi aiuta questi ragazzi, chi passa ogni minuto con loro, per proteggerli e difenderli? La loro vita privata è condizionata da quello che vedono tutti i giorni, e la regista riesce a portare sullo schermo tutto ciò in maniera espicita e diretta, in alcune occasioni anche troppo esibita, ma così facendo mette in mostra i difetti non solo dei singoli poliziotti ma del sistema stesso, e ci regala una galleria di ritratti mai completamente positivi o amabili, ma proprio per questo estremamente umani e con cui è facile empatizzare.

D'altronde per tutta la durata della pellicola viviamo le loro storie sempre e comunque dal loro punto di vista, con la camera a mano che ci immerge in modo assoluto nella loro quotidianità fatta anche di litigi, battibecchi, amori e odi, perfino risate fuori luogo. Addirittura, proprio come i veri poliziotti della CPU, non conosciamo i verdetti di tutti questi casi che portano avanti, ma semplicemente veniamo velocemente sballottolati da uno all'altro, senza soluzione di continuità, in maniera forse caotica, ma anche evocativa.
Reminescente della lezione de La classe - Entre les murs (vincitore qui a Cannes solo tre anni fa), anche il film di Maiwenn ambisce a fornire uno spaccato della Parigi multietnica e più problematica, e ad essere così in qualche modo riconosciuto dalla giuria di questa edizione del festival transalpino. E non senza meriti.

Movieplayer.it

4.0/5