Recensione In Time (2011)

Dopo sei anni di silenzio, Andrew Niccol torna sul grande schermo con un action futuribile interpretato dalla stella del pop Justin Timberlake e incentrato sull'ossessione dell'eterna giovinezza.

As Time Goes By

Il tempo è denaro per Will Salas e per tutta la popolazione della zona povera di Dyton. Abitante di un mondo che sembra aver sconfitto il gene dell'invecchiamento, quest'umanità disperata nasce con un orologio corporeo al polso che, allo scattare del venticinquesimo compleanno, inizia a scandire i secondi di un ultimo anno di vita. Da quel momento inizia una folle corsa per la sopravvivenza alla ricerca di tempo da guadagnare in modo lecito e spesso illecito. Colpito da questo destino inevitabile, Will si trova sempre al verde con sole ventidue ore a disposizione e per questo trascorre le sue giornate in una fabbrica inseguendo affannosamente la possibilità di ottenere altri minuti preziosi per sé stesso e per la madre. Lontano ben dodici distretti dalla povertà di Dyton, però, esiste la società perfetta di New Greenwich, dove miliardari con all'attivo secoli o millenni di vita trascorrono lentamente le proprie giornate ossessionati dal timore di perdere una ricchezza vitale. Un universo lento e ansiosamente protetto che, indifferente alle difficoltà di una classe inferiore, ambisce all'eternità. Ma, come spesso accade, avvenimenti imprevisti hanno il potere di cambiare anche ciò che può sembrare irreversibile. Così, inaspettatamente omaggiato di cento anni dal ricco Henry, Will si trova di fronte ad una scelta difficile da gestire: godere del proprio benessere o agire per mutare l'iniqua divisione del tempo?


Realtà manipolate e antropologia fantascientifica; questa è l'ossessione narrativa del neozelandese Andrew Niccol che, dopo sei anni di silenzio dal suo Lord of War, torna dietro la macchina da presa per immergersi in un universo futuribile composto ancora una volta da un'umanità sottoposta a una sorta di selezione naturale. Questa volta a delimitare i confini della casta e della sua appartenenza non è la genetica di Gattaca - La porta dell'universo, ma l'acquisizione di ricchezza e la successiva collocazione in una scala sociale irrimediabilmente immobile. Così, sostituite le diatribe intorno alla manipolazione del DNA con l'acquisizione di un timer personale, il regista conduce il suo In Time nell'esplorazione dell'umana ossessione per la perfezione, efficacemente sintetizzata nel miraggio di un'infallibile eternità. Una tematica, questa, potenzialmente capace di tratteggiare l'attualità attraverso un ritratto dalle forme futuristiche ma che, acquisendo un tono moralmente qualunquista, trasforma il film in un action dalle alte pretese inespresse. Partendo dai principi basilari dell'evoluzione darwiniana, Niccol struttura con attenzione le sfere di appartenenza focalizzando la sua attenzione su alcuni elementi estetici. A definire questo nuovo universo sono l'eccesso o l'assenza di luminosità e la velocità che, dalla ritmica dei dialoghi fino all'andatura dei personaggi, determina più di qualunque altra caratteristica provenienza e intenti.

Una lucidità e una sintesi narrativa che la pellicola riesce a mantenere giusto il tempo di far illudere lo spettatore prima di renderlo ostaggio di una critica sociale banale nella forma come nel contenuto. Dietro la superficie cinematografica, infatti, si cela semplicemente un racconto prevedibile quanto tediosamente scontato sull'attuale condizione economica che, dopo la tragedia dell'11 settembre 2001, si appresta a diventare la nuova ossessione di un certo cinema americano. Seguendo questa traiettoria narrativa, la divisione della ricchezza, il potere delle banche e la giusta ripartizione sono il fulcro di una struttura che sceglie immagini e riferimenti drammaticamente didascalici per sostenere una non teoria. In questo modo l'eroe imperfetto, destinato sicuramente a sostenere un conflitto morale più intenso, veste suo malgrado i panni laceri e impolverati di un Clyde romantico che, all'occasione, è pronto a trasformarsi in un Robin Hood costantemente affiancato da una sexy Marian con un cuore da impavida Bonnie. Fin troppi riferimenti male assortiti e casualmente applicati per Justin Timberlake e Amanda Seyfried che, pur rappresentando il nuovo oggetto del desiderio, dimostrano di non possedere ancora le sfumature dell'artisti e le furbizie del mestieranti.

Movieplayer.it

3.0/5