Recensione Philadelphia (1993)

Uno dei pochi film in cui il compromesso fra il pubblico e il tentativo di portare sugli schermi una tematica per molti aspetti scottante, funziona senza scadere palesemente nel ridicolo.

All men are created equal

Immerse nel rosso cupo di una pioggia di foglie d'autunno, le strade di Philadelphia sono un vivo scenario in cui si muovono le persone comuni, con le loro storie: Andrew Beckett è un uomo come altri, la sua vita è scandita da successi e preoccupazioni: è un giovane e brillante avvocato stimato dai suoi capi e dai colleghi del potente studio legale di cui fa parte, divide la sua vita con Miguel Alvarez, il suo compagno, ha una famiglia che lo adora ed è sieropositivo. Nonostante si renda conto che un giorno il virus prenderà il sopravvento, Andy ha tanta voglia di vivere e lo fa con il massimo impegno ed ottimismo e cercando di costruire comunque un avvenire. La sua vita non differisce tanto da quella di chi -nelle sue condizioni- trova il coraggio di vivere, ma prende una direzione diversa nel momento in cui si manifesta l'AIDS e il suo mondo si divide in due. La famiglia e il compagno continuano a stargli vicino, ma nello studio legale in cui lavora, il suo ruolo di stimato professionista in attesa di entrare a far parte della società è stroncato da un boicottaggio che vorrebbe giustificare un licenziamento per incompetenza e dietro il quale si cela un muro di pregiudizi.

Andy sceglie di battersi da solo, di portare avanti la sua battaglia personale, di abbattere almeno un pezzo del muro che si è trovato davanti, con le poche forze che gli sono rimaste: parecchie porte di studi legali gli si chiudono in faccia tra cui quella dell'avvocato Joe Miller che inizialmente rifiuta di accettare il suo caso, per paura di affrontare uno studio legale potente, per timore di essere contagiato e perchè non sopporta gli omosessuali. Joe Miller nel contesto del film rappresenta, generalizzando, il grande pubblico: è un bravo avvocato, un marito affettuoso ed un padre premuroso, ma come molti, e senza neppure rendersene conto, vede la vita in un'unica direzione: l'universo omosessuale per lui è sempre stato - per sentito dire - popolato da uomini affamati di altri uomini, che amano vestirsi da donna. Joe Miller non sa neppure come si trasmetta il virus dell'AIDS: si preoccupa che Andrew gli stringa la mano o gli tocchi gli oggetti sulla sua scrivania. Paradossalmente Joe Miller, al contrario di Andrew Beckett, ha paura di vivere, andare avanti ed affermarsi come avvocato. Il pubblico istintivamente riconosce in quest'uomo i propri timori e la propria diffidenza verso un mondo totalmente sconosciuto e diffamato da decenni di ignoranza.

Le strade di Joe ed Andy si incroceranno ancora in una sala lettura della biblioteca dell'università della Pennsylvania ed insieme, socialmente così piccoli, affronteranno in tribunale lo studio legale di Andy, la società intera e i media; allo stesso tempo Andy affronterà il suo viaggio verso la morte e Joe intraprenderà un viaggio in cui scoprirà che esistono altri mondi oltre al suo, altre realtà oltre la sua confortevole casa e l'amore della sua piccola famiglia. Durante una festa data da Andy per salutare e celebrare la vita che gli sfugge di mano, Joe in silenzio, si rende conto che la diversità del mondo omosessuale è sita principalmente nella sua cultura: la comunità omosessuale ha una propria cultura, un suo modo di comunicare ed esprimersi, a volte rabbioso e polemico, altre colorato e ironico; "Sei sopravvissuto al tuo primo party gay" gli dice Andy, a conclusione del party, ma Joe pur essendo "sopravvissuto" non riesce a scrollarsi di dosso l'inferno del male di Andrew, la cui viralità non è solo fisica, ma psicologica ed emotiva, attorno al suo cliente sembra esserci solo il silenzio della sua morte sociale e la disperazione dei suoi cari: "porto sventura a chi bene mi vuole", Andy lascia che sia una delle più grandi icone gay, Maria Callas nell'Andrea Chenier a spiegare il suo stato d'animo a Joe, in uno dei momenti più belli ed intensi di questo film. In seguito durante il processo, che parte con gli stessi clamori di una vera battaglia, ingigantita dai media e dalla società divisa in due, nel confronto tra Andy e i suoi capi, i pregiudizi sembrano perdere spessore, si sgretolano sotto gli occhi di tutti sulle loro basi inesistenti e man mano che il processo va avanti, nessuno di quelli che avevano escluso Andy dalla società, sembra essere davvero convinto delle cose che sostiene, in cuor loro sanno benissimo che è tutta una mascherata che devono sostenere per poter tenere ancora i piedi ben saldi nella loro società, quella che va avanti restando indietro, la società di coloro che conoscono solo un unico aspetto della vita.

Tre anni prima il tema dell'AIDS era stato già affrontato dal film Che mi dici di Willy? di Norman Renè ma la storia si svolgeva principalmente all'interno di una comitiva di amici gay; in Philadelphia tutti, non solo i personaggi del film ma anche il pubblico, sono costretti a rimettere in discussione le proprie convinzioni: perchè questo accadesse, però, si è dovuto scendere a compromessi, ma questo è uno dei pochi film in cui il compromesso fra il pubblico e il tentativo di portare sugli schermi una tematica per molti aspetti scottante, funziona senza scadere palesemente nel ridicolo: il film di Jonathan Demme, volutamente popolare, commovente e ben diretto, prende per mano il grande pubblico, e man mano gli mostra da vicino la storia di una vittima dei pregiudizi e cerca di scuotere la sua coscienza nel profondo, ma per non urtare nessuno Tom Hanks e Antonio Banderas raramente si scambiano affettuosità: l'unico bacio tra i due, durante la scena del party fu censurato dai produttori. Ispirato ad un fatto realmente accaduto, Philadelphia è stato scritto e riscritto per cinque anni eppure non perde spontaneità, grazie anche ai bravissimi Tom Hanks e Denzel Washington e alle riprese effettuate sui luoghi stessi dell'azione, solo a volte sembra eccedere in ottimismo ma è da questo che si dovrebbe partire per lottare contro l'intolleranza della società. "All men are created equal." dice Joe Miller ricordando la Dichiarazione d'Indipendenza, ed Andrew Beckett ha una famiglia che si dimostra positiva e tollerante nei suoi confronti, un compagno che gli è ancora accanto nonostante la malattia non lasci futuro alla loro storia. E nel caso vi fossero ancora dubbi sul fatto che siamo tutti uguali basta ripensare alle ultime immagini del film: le immagini di un bambino come tanti, come lo siamo stati tutti, riempiono lo schermo di un televisore. Quel bambino è Andrew Beckett.

Movieplayer.it

4.0/5